A chi ama una narrativa di tipo, per così dire, tradizionale, cioè di robusto impianto realistico, sconsigliamo la lettura del nuovo romanzo di Tullio Avoledo. Chi invece apprezza in un racconto una forte carica visionaria - del tipo di quella che troviamo, per intenderci, nell’opera di Bulgakov - apprezzerà la componente decisamente fantastica di una trama che spiazza continuamente il lettore.
Protagonista di Chiedi alla luce è Gabriel, un celebre architetto di fama internazionale, un archistar (come si dice), un professionista talmente ricco ed affermato da potersi permettere di fare il giro del mondo in sei mesi con la sua compagna, Sabine, lavorando nel contempo al progetto di una intera città («una commissione che avrebbe gelato il sangue a uno meno stupido e arrogante di me», commenta) e tenendosi in contatto con il proprio staff, dall’altra parte del pianeta, grazie alle moderne tecnologie informatiche. Già alla fine della seconda pagina del libro, però, apprendiamo che Sabine a un certo punto decide di piantarlo in asso, prendendo, dall’isola dell’Oceano Indiano dove si trovano, un volo per conto proprio. Ritroveremo questa donna sfuggente molto più avanti nel romanzo, scoprendo, a proposito di lei come di molte altre presenze della storia, che spesso le cose non sono come appaiono e che tra realtà, immaginazione, sogno e allucinazione il divario può essere molto sottile.
Gabriel si sposta, apparentemente senza un senso preciso, da una città all’altra, inseguendo luoghi del presente e accadimenti del passato: Istanbul, Budapest, Mosca, Parigi, Milano (il tortuoso itinerario giunge a un certo punto persino a Valvasone, in provincia di Pordenone, paese natale dell’autore). Daniel compra una melagrana di ceramica e la porta a Budapest per regalarla a una bambina ungherese in un rifugio, sotto i bombardamenti dell’assedio della città da parte delle truppe sovietiche durante la Seconda guerra mondiale. Poi passeggia lungo il Danubio con un regista inglese morto. A Mosca invece incontra un boia di Stato, un ufficiale responsabile di aver ucciso a sangue freddo centinaia di persone. La bambina, diventata vecchia, lascia la melagrana, anch’essa invecchiata, al portiere della casa di Gabriel a Istanbul. A Milano, tornato nel proprio studio, l’architetto realizza che la crisi internazionale rischia di decretare la fine della sua brillante carriera. Intanto, per quanto riguarda lo scenario geopolitico, alla Casa Bianca siede una presidente donna (il che, del resto, a breve potrebbe non essere più fantapolitica) e la Russia sta per invadere i Paesi Baltici.
Il realismo, insomma, vacilla in più di un punto e ben presto il lettore si trova trasportato nei meandri di una realtà alternativa, in cui, viaggiando nel tempo, è possibile modificare il corso degli eventi per salvare qualcuno che poi magari neanche lo vuole né se lo merita. Ma la fantasia a briglia sciolta di Avoledo sembra funzionale a una visione sostanzialmente apocalittica del passato, del presente e del futuro, cui non è estranea un’interrogazione di tipo morale e religioso. C’è un continuo confronto, nel testo, con la sapienza antica delle Sacre Scritture e con quella forma di sapienza moderna che è la poesia (scrive la Szymborska, citata a un certo punto, che «forse non ci sono campi se non di battaglia, / quelli ancora ricordati, / quelli già dimenticati...»).
Si tratta, dunque, di un romanzo ambizioso, il giudizio sul quale non può però essere esente da alcune riserve. Bisogna rilevare che i continui cambiamenti di tempi, di luoghi e di punti di vista rischiano di disorientare anche il lettore più disponibile e che forse lo scrittore avrebbe potuto gestire meglio, riducendola, la molteplicità degli spunti e delle situazioni narrative (il romanzo, ad esempio, non avrebbe perso nulla dalla soppressione della scena a luci rosse di un amplesso a tre nella toilette di un aereo, descritto con un linguaggio da rivista porno). Detto questo, gli va tuttavia riconosciuta una profondità di sguardo - profondità non facile e non convenzionale - che sfida il lettore a guardare in faccia il male e i lati oscuri dell’esistenza e della Storia umane. Con uno spiraglio finale di speranza, la luce di cui al titolo, ma probabilmente non qui su questa Terra.
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