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Imprenditori «effalumpi»

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Economia e Società

Imprenditori «effalumpi»

L’illustrazione di Domenica Rosa , nella copertina de «Gli imprenditori» (Marsilio)
L’illustrazione di Domenica Rosa , nella copertina de «Gli imprenditori» (Marsilio)

Cos’è l’imprenditore? Nessuno lo sa davvero, è il personaggio più elusivo del gran teatro dell’economia e trovarlo è come andare a caccia dell’Effalumpo (animale immaginario e mai visto di Winnie the Pooh, forse un elefante, ma non proprio). E se a porsi il problema senza mai trovare la risposta sono stati in passato, tra moltissimi altri, William Baumol e Peter Kilby (a cui devo il cocktail della frase d’attacco), ora ci provano Luca Paolazzi, Mauro Sylos Labini e Fabrizio Traù. Gli imprenditori, si chiama appunto il libro da loro curato (contiene 19 saggi). Sapendo di dover cacciare l’effalumpo stendono una rete ampia, usando strategie non consuete al Centro Studi di Confindustria, dove il lavoro è stato prodotto. Provano infatti a capire cosa sia l’imprenditore guardando alla letteratura, alla psicologia, alla storia alla giurisprudenza, oltre che ovviamente all’economia.

La questione non è solamente una curiosità intellettuale se, come sosteneva Ronad Coase, l’imprenditore è la «persona che in un sistema concorrenziale sostituisce il meccanismo dei prezzi nell’allocazione delle risorse». Ossia qualcuno che riesce a guardare oltre le semplici indicazioni che il sistema dei prezzi danno a tutti e dunque è in grado di capire prima degli altri dove andranno i mercati, anche quelli che non esistono ancora. Forse per maggiore chiaroveggenza; oppure per maggiore amore e capacità di prendersi dei rischi. E siccome va dove il mercato non c’è ancora o non riesce a nascere, dunque innova, coordina, investe, dirige, è un carattere fondamentale dello sviluppo di qualunque economia di mercato.

E neppur è una curiosità intellettuale in un Paese dove la propensione a intraprendere e a mettersi in proprio è maggiore che altrove. In Italia nel 2014 il 6% della popolazione era composta di datori di lavoro, contro il 4,2% in Francia ed il 4,6% in Germania. E il 24,9% era classificato come lavoratore indipendente, contro circa il 10% negli altri Paesi europei. Un dato che il sovraffollamento di finte partite Iva non basta a spiegare.

L’esercizio interessante che Paolazzi fa con i suoi compagni di viaggio è proprio dividere l’uomo imprenditore dall’impresa. Fiumi di inchiostro e infiniti dati descrivono e analizzano le imprese. Molto meno, invece, si riferisce a chi le comanda, le organizza e le gestisce.

Nelle analisi empiriche sulle imprese in cui si voglia isolare un determinato fenomeno (ad esempio se le aziende che innovano sono più efficienti o se quelle che esportano crescono più in fretta), le tecniche econometriche impongono di introdurre un così detto effetto fisso, che è un parametro che cattura tutto quanto i dati a disposizione del ricercatore non osservano. L’effetto fisso è appunto come l’effalumpo, una scatola nera dentro cui non si guarda mai. Forse il principale ingrdiente mai osservato nell’effetto fisso è proprio l’imprenditore. Solo serie di dati più recenti iniziano a riportare alcune caratteristiche dell’imprenditore, ad esempio genere, età, quota di proprietà dell’impresa. Ma non sappiamo altro.

Ha fatto molto bene allora il team del Centro Studi di Confindustria a guardare dentro la scatola nera e con lenti molto variegate. Ne esce un affresco pieno di informazioni e prospettive. Soprattutto forse si capisce perché la natura dell’imprenditore sia così evasiva, appunto effalumpica. Perché l’imprenditore è una serie infinita di cose ed è assai difficile caratterizzarlo. Non se ne trova uno con la I maiuscola che rappresenti tutti gli altri e che faccia meglio di tutti gli altri. C’è l’imprenditore avido e quello attento al sociale; l’imprenditore innovatore e quello che batte i corridoi della politica in cerca di favori; l’imprenditore tecnico e quello finanziario; l’imprenditore razionale e quello che agisce di pancia; l’imprenditore di prima e quello di terza generazione. Un’infinita varietà di personaggi e caratterizzazioni che potrete trovare nelle pagine del libro.

Forse alla fine del lungo percorso, i tratti comune che uniscono tutti gli imprenditori sono che: rischiano i loro soldi; creano lavoro e ricchezza; organizzano attività che il mercato non riesce a comporre; si prendono rischi patrimoniali ed economici maggiori degli altri.

Ma per avere successo questo non basta. L’Italia, se no, potrebbe finalmente crescere più della Germania. L’efficacia degli imprenditori, per bravi che siano, dipende dal contesto in cui questi operano. Soprattutto, un contesto dove l’imprenditore riesce a staccarsi dalla sua impresa. Che vuol dire accettare di avere in impresa competenze esterne; di condividere i profitti con soci che garantiscano un’adeguata capitalizzazione delle aziende; di poter sbagliare e fallire senza stigma (non è questo il principio informatore della responsabilità limitata?); di affrontare mercati e prodotti lontani, a volte per nulla consueti.

Questo imprenditore che sa e ricorda di essere qualcosa di diverso dalla sua impresa è l’eroe dell’imprenditoria moderna che il libro cerca e infine propone. Il contrario del “padre-padronismo” e del profondo familismo dinastico che ancora caratterizza molto del nostro sistema imprenditoriale. Insomma, il nostro eroe forse è elusivo perché quel che deve essere e deve fare cambia costantemente. Alla fine ne esce una specie di quadro futuristico dove l’ingrediente fondamentale è e rimane il movimento.

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