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Tutti pazzi per gli insetti

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Scienza e Filosofia

Tutti pazzi per gli insetti

Disegno di Hansa Georg Rauch in «La maggioranza silenziosa» , Garzanti Milano, 1974
Disegno di Hansa Georg Rauch in «La maggioranza silenziosa» , Garzanti Milano, 1974

Perché gli insetti (e i ragni, che non sono insetti) esercitano cotanto fascino sugli scrittori? Le riviste di entomologia sono ricche di articoli sulla presenza degli insetti negli ecosistemi letterari, artistici e nelle tradizioni culturali in genere: è stato calcolato che nel 10% delle poesie di Emily Dickinson si parla di artropodi, che sono oltre cento i riferimenti puntuali a insetti nelle opere drammaturgiche di Shakespeare (gli insetti sono assenti solo in Riccardo III e Pericle), etc. Senza dimenticare quello che è stato scritto sugli insetti nei sogni, a cominciare dalla passione per l’argomento dello psicoanalista pseudo-junghiano James Hillman, autore di un saggio intitolato Going bugs, pubblicato su rivista nel 1988 e trasformato in un audiolibro nel 1991. «Gli insetti mi attraggono e mi respingono», scrive Marco Belpoliti in un libro che coniuga con prosa chiara e fluida la dimensione naturalistica e quella letteraria dell’interesse umano per artropodi e aracnidi (ragni). Ed è in questo atteggiamento ambivalente, le cui radici affondano nella psicologia umana più innata, di cui l’evoluzione ci ha dotati perché migliorava le nostre chances di sopravvivenza, che risiede l’origine delle diffuse paure, ma anche del fascino che i piccoli animali corazzati di esoscheletro, dotati di antenne, occhi composti e spesso di ali, e i cui organi interni fluttuano in un’emolinfa, esercitano su di noi.

Prendendo spunto sia dalla letteratura scientifica, sia dalla presenza di questi animali in alcune narrazioni o testimonianze letterarie, Belpoliti esplora la complessità di emozioni alterne che possono suscitare formiche, api, vespe, lucciole, farfalle, blatte, ragni, etc. Questi «piccoli tizi che mandano avanti il pianeta», come li definisce il mirmecologo e prolifico scrittore Edward O. Wilson, sono ritenuti i veri padroni del mondo. O meglio, “dominatori”: così li ha chiamati lo zoologo e premio Nobel per la scoperta del sistema di comunicazione delle api, Karl von Frish, in un libro degli anni Settanta ampiamente citato da Belpoliti.

In realtà, chi manda davvero avanti il pianeta, aiutando talvolta anche gli insetti a nutrirsi (per esempio le termiti), sono gli organismi unicellulari, e in particolare i batteri. Nondimeno parliamo della classe tassonomica con il maggior numero di specie e con la più impressionante biodiversità: il 90% delle specie che si stima esistano, cioè circa 9milioni di cui solo un sesto conosciute, sono insetti. Ragione per cui la selezione naturale si è davvero sbizzarrita a creare forme e funzioni tra le più singolare che si possano.

È ragionevole pensare che quando le cosiddette classi di animali superiori oggi esistenti, come i mammiferi (ma superiori rispetto a cosa? essere dotati di intelligenza e coscienza vuol dire soltanto esercitare a costi superiori l’autoinganno che mantiene la vita sul pianeta), si saranno estinte, gli insetti continueranno a dominare tra gli animali. Dal nostro punto di vista, antropocentrico, ci ostiniamo a considerare le estinzioni qualcosa di tragico o di evitabile, mentre si tratta di naturali cicli ecologici della vita e del pianeta (anche quando causati dall’attività umana). Inutile agitarsi. La biodiversità ha un respiro proprio, che non coincide con le aspettative umane. Anche perché l’uomo è inevitabilmente parte del gioco. Non certo arbitro, dato che manca spontaneamente di autocontrollo. Dato che abbondano nell’ambiente circostante e si trovano ovunque, tranne che nei mari, questi animali non potevano rimanere fuori dalla mitologia, dalle religioni, dalla letteratura, dalla pittura, dalla musica, dal cinema e… dai sogni.

I capitoli del libro di Belpoliti prendono spunto da qualche aspetto singolare della vita degli insetti o dalla loro presenza in qualche autore, da Kafka che si risveglia scarabeo, a Faulkner che dedica un romanzo alle zanzare, dalle lucciole di cui paventava la scomparsa Pasolini ai ragni che impaurivano Primo Levi (ma non Calvino), alle farfalle dell’autore di Lolita, Vladimir Nabokov, che era entomologo e grande esperto di lepidotteri, benché scientificamente arretrato e antievoluzionista. Belpoliti non dimentica l’infatuazione per gli insetti eusociali del premio Nobel per la letteratura Maurice Maeterlinck, la passione di Ernst Junger per i coleotteri, e dell’interesse filosofico di Gilles Deleuze (e dello zoologo e biosemiotico Jacob von Uexküll) per le zecche. E c’è spazio anche per la presenza degli insetti nella vita quotidiana.

Il problema della percezione psicologica e sociale degli insetti, che si è sedimentata nella storia culturale umana è stato oggetto di studi scientifici. Lo scrittore e specialista di cavallette Jeffrey A. Lockwood ha dedicato un libro alle conoscenze e ipotesi sull’impatto degli insetti sulla psicologia umana, in particolare a spiegare perché gli insetti (ma soprattutto i ragni) suscitano disgusto e paura (o a volte passione) e possono scatenare fobie che si può provare trattare (The Infested Mind: Why Humans Fear, Loathe, and Love Insects, Oxford University Press, 2013). Nel libro è lungamente discussa l’entomofobia di Salvator Dalì (probabilmente aveva sofferto di parassitosi allucinatoria), che li usa per simbolizzare terrore e morte in diversi dipinti (gli insetti erano una presenza frequente nelle opere dei surrealisti).

Per Lockwood quasi metà delle fobie umane avrebbe per fattore scatenante insetti. Rispetto agli atteggiamenti umani verso gli insetti, che possono spiegare anche i motivi della loro presenza nella letteratura e nell’arte in generale, resta informativo un articolo scritto ventitré anni fa da un professore della Yale University, Stephen Robert Keller, sulla percezione degli invertebrati e in particolare degli insetti (e dei ragni). Il ragionamento di Keller era: stante che gli insetti e i ragni sono così importanti per l’agricoltura e gli ecosistemi naturali, quali atteggiamenti sono effettivamente presenti nella popolazione del Connecticut? E presso le varie tipologie sociali e professionali di cittadini? Si potrebbe fare qualcosa per migliorare questa percezione?

Il libro di Marco Belpoliti valorizza le dimensioni scientifica, estetica, naturalistica, ecologica e umanistica. Tra quelle identificate da Keller, sarebbero un po’ sottorappresentate le percezioni legate alla dominanza, moralistiche, negative e utilitaristiche. I dati sono ancora validi e mostrano che nella popolazione generale gli insetti sono visti con «atteggiamenti di antipatia, paura e avversione».Tra gli scienziati prevale lo sguardo etologico, e tra gli agricoltori quello utilitaristico. Anche la percezione estetica è influente.

Passando in rassegna le spiegazioni, queste possono essere diverse e tutte plausibili: dall’associazione con le malattie e la distruzione dei raccolti, ai vantaggi adattativo di disporre di moduli neurologici per la paura e le minacce di morte, molto sensibili anche a microscopici stimoli (comunque a volte dolorosi e solo raramente mortali. A questa spiegazione si aggancia anche Lockwood. Un’ipotesi interessante è anche quella di Hillman: «immaginare gli insetti numericamente minaccia la fantasia individuale di una persona, di un essere umano unico […]. I loro numeri indicano la nostra insignificanza come individui».

E colpisce il fatto che manifestino su base istintiva o automatica, cioè genetica, comportamenti anche molto complessi, sempre molto strani e tali da renderli in grado di invadere o minacciare testardamente e senza possibilità di controllo quasi tutti gli spazi che progettiamo per la nostra sopravvivenza.

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