
La Mostra di Venezia 2016 è ormai al giro di boa e il cinema italiano ha presentato il suo primo film in concorso: «Spira Mirabilis» di Massimo D'Anolfi e Martina Parenti.
Non si tratta di un semplice documentario, ma di una curiosa sinfonia visiva sui quattro elementi della natura, girata in diversi luoghi del mondo.
Dopo aver stupito con «Il castello» (2011), «Materia oscura» (2013) e «L'infinita fabbrica del Duomo» (2015), la coppia D'Anolfi-Parenti punta ancora più in alto, forse anche troppo, con questo film ambiziosissimo ma per lunghi tratti difficilmente intelligibile.
Si parla di tantissime tematiche (molto spazio è dedicato agli indiani d'America, nella parte relativa al Fuoco), ma i registi faticano a portare avanti una riflessione coerente e il tema dell'immortalità, che aleggia lungo tutta la visione, non sempre è trattato con l'adeguato spessore.
L'operazione, così, risulta piuttosto incerta, anche se non mancano suggestioni importanti nella parte relativa all'Acqua: il protagonista di questo segmento è uno scienziato-cantante giapponese che studia una rarissima specie di meduse, minuscole e immortali.
Il fascino in fondo c'è, ma nei film precedenti dei due registi c'era una coerenza che qui si trova raramente e la lunga durata (circa due ore) non aiuta.
Decisamente più convenzionale è l'altro film in concorso della giornata: «El ciudadano ilustre» di Mariano Cohn e Gastón Duprat.
Al centro c'è uno scrittore argentino, Daniel Mantovani, che vive in Europa da trent'anni ed è famoso per aver vinto il Premio Nobel per la letteratura. I suoi romanzi ritraggono la vita di Salas, il paesino in cui è cresciuto e dove non è più tornato da quando era ragazzo. L'occasione per rivedere la sua terra natale arriverà quando l'amministrazione di Salas lo invita per conferirgli il titolo di cittadino onorario.
Noti per «El artista» del 2008, Cohn-Duprat firmano una pellicola delicata e gradevole, che rischia poco e punta su una struttura narrativa piuttosto canonica.
Seppur la messinscena non regali grandi sprazzi, i due registi alternano efficacemente dramma e commedia, riuscendo a toccare corde emotive profonde e a far sorridere in più di un'occasione.
Buona la prova del protagonista Oscar Martínez in un ruolo tutt'altro che semplice.
Infine, una menzione per «Hacksaw Ridge» di Mel Gibson, presentato fuori concorso.
È la storia vera di Desmond Doss, soldato che a Okinawa durante una delle più cruente battaglie della Seconda guerra mondiale salvò 75 uomini senza sparare un solo colpo. Doss fu il primo obiettore di coscienza insignito della Medaglia d'Onore del congresso.
Il tema sarebbe anche suggestivo, ma Gibson punta su uno stile inutilmente enfatico e retorico, tanto da far perdere interesse alla vicenda raccontata.
Pessima la conclusione e anche Andrew Garfield (nei panni del protagonista) risulta del tutto fuori parte e mai intenso come dovrebbe.
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