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A Venezia grandi applausi per «Jackie», un film da premiare

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MOSTRA DEL CINEMA

A Venezia grandi applausi per «Jackie», un film da premiare

Era il film più atteso del festival e non ha deluso le aspettative: «Jackie» di Pablo Larraín è stato accolto da lunghi al termine della proiezione stampa e parte tra i favoriti per la vittoria del premio più ambito della Mostra, il Leone d'oro.

Anticonvenzionale biopic su Jackie Kennedy, il film si concentra sui giorni che sono trascorsi tra la morte del marito John Fitzgerald e il suo funerale.

Nello stesso anno di «Neruda», altro bellissimo lungometraggio che è stato presentato all'ultimo Festival di Cannes, Larraín racconta con il suo stile inconfondibile un'altra icona del ventesimo secolo: le immagini si uniscono magnificamente alle musiche, i dialoghi sono scritti con grande cura e la narrazione segue traiettorie sempre originali e mai scontate.

Nonostante l'assassinio di Kennedy sia stato più volte portato sul grande schermo, sentirlo descrivere dalle parole del personaggio di Jackie (interpretato da una straordinaria Natalie Portman) non può che emozionare e coinvolgere.
Pablo Larraín, così, si conferma uno dei più importanti autori in attività, capace come pochi altri di sorprendere e reinventarsi di pellicola in pellicola, dotato di una grande maestria tecnica e di una sensibilità drammaturgica davvero rara e fuori dal comune.

Potrebbe essere in lizza per i prossimi premi Oscar, ma prima punta al palmarès veneziano che verrà assegnato sabato sera.

Decisamente meno significativo, purtroppo, è il nuovo film di Terrence Malick, «Voyage of Time». È un documentario sulla genesi dell'universo e sullo scorrere del tempo, una sorta di sinfonia visiva con immagini che toccano il nostro passato e il nostro presente.

Di questa operazione, a cui Malick lavora da diversi decenni, non si discute la potenza estetica della fotografia, capace di sfiorare il sublime grazie alla sua forza evocativa, ma un senso complessivo che si fatica a cogliere e vada oltre la bellezza delle immagini che scorrono davanti agli occhi.

Il regista di «The Tree of Life» continua a sviluppare le riflessioni del suo cinema recente, ma finisce per ripetersi con una voce narrante più fastidiosa che efficace e un montaggio poco coeso e non sempre coerente.

Il risultato così è troppo freddo per appassionare ed eccessivamente contorto e confuso per poter essere seguito con il giusto interesse.

Piuttosto freddo è anche l'ultimo lavoro di Stéphane Brizé, «Une vie». Ambientato nella Normandia dell'Ottocento, racconta la vita della bella Jeanne de Perthuis des Vauds, tra amori, peripezie e amarezze: dal matrimonio con un uomo che la tradirà ripetutamente alla perdita della madre.

Dopo aver presentato a Cannes 2015 «La legge del mercato», Brizé prende ispirazione da un'opera di Guy de Maupassant per firmare un dramma esistenziale dal taglio minimalista.

Il rigore registico è evidente, ma al film manca il giusto cuore, lo stile sa troppo di maniera e il coinvolgimento funziona a fasi alterne. Classico “titolo da festival”, potrebbe comunque piacere alla giuria e ottenere un premio.

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