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A Venezia è il giorno di Konchalovsky. Delude Piccioni

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A Venezia è il giorno di Konchalovsky. Delude Piccioni

Dopo aver vinto il Leone d'argento per la miglior regia due anni fa con «The Postman's White Nights», Andrei Konchalovsky torna in concorso a Venezia con l'attesissimo «Paradise».

Al centro della storia ci sono tre individui – Olga, Jules e Helmut – le cui strade si incrociano nella devastazione della Seconda guerra mondiale. Olga, un'aristocratica russa che viene arrestata dalla polizia nazista per aver nascosto dei bambini ebrei durante un raid a sorpresa, viene rinchiusa in galera dove incontra Jules, un collaborazionista franco-nazista che s'invaghisce di lei.

In seguito ad alcuni eventi, viene mandata in un campo di concentramento dove è costretta a una vita d'inferno: qui ritrova Helmut, un ufficiale tedesco delle SS, che tempo prima si era follemente innamorato di lei.

Non è un film semplice «Paradise», lungometraggio che mette in scena un triangolo amoroso ben poco convenzionale, che tocca persone di tre differenti nazionalità in un momento storico tanto determinante.

Valorizzato da un bianco e nero notevolissimo, «Paradise» è un film formalmente ineccepibile, dotato di immagini forti e sequenze tragiche e struggenti al punto giusto.

Non manca una certa ridondanza nella parte centrale e alcuni passaggi (finale compreso) sanno di già visto, ma i momenti di ottimo cinema sono davvero numerosi e il risultato è un lungometraggio lucidissimo sulla follia nazista e su cosa si è disposti a fare per poter sopravvivere.

Menzione speciale per Julia Vysotskaya (Olga), la migliore di un cast in grande forma.

Piuttosto debole è invece «Questi giorni» di Giuseppe Piccioni, terzo film italiano in concorso.

Protagoniste sono quattro ragazze che partono per un viaggio a Belgrado, per accompagnare una di loro che ha trovato lavoro proprio nella capitale serba.
Dopo «L'estate addosso» di Gabriele Muccino e «Piuma» di Roan Johnson, a Venezia arriva un altro film italiano che parla di adolescenza: anche in questo caso, però, lo sguardo su quell'età è spesso superficiale, tra riflessioni esistenziali poco interessanti e personaggi scritti senza grande cura. Quasi tutto sa di già visto e i dialoghi non riescono mai a colpire come dovrebbero: peccato, c'erano le premesse per fare qualcosa di molto più incisivo.

Infine, una segnalazione per «The Journey» di Nick Hamm.

A St. Andrews, in Scozia, britannici e irlandesi hanno riunito i partiti politici dell'Irlanda del Nord per discutere un accordo storico: dopo i giorni bui dei Troubles, la pace sembra possibile.

L'unico ostacolo è convincere il fervente predicatore protestante Ian Paisley e il repubblicano irlandese Martin McGuinness ad accettare l'accordo.

Più che un film storico, «The Journey» è una pellicola sulla forza della parola, sulla retorica politica, con i due contendenti seduti uno accanto all'altro sui sedili di un'automobile a discutere sulla pace.

Inizialmente fatica molto a carburare, poi diventa più leggero e riesce anche a far sorridere in diversi passaggi. Niente di trascendentale, ma non mancano i pregi e i due attori protagonisti – Timothy Spall e Colm Meaney – sono straordinari.

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