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Nella cripta dove si riavvolge il tempo

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Nella cripta dove si riavvolge il tempo

«Sarebberodovuti fuggire insieme dal Messico...ma lei non si era presentata all’appuntamento, trasformandolo in una persona segnata da quell’atto mancato». Con Il testimone, romanzo del 2004 che l’editore gran vía consegna al lettore italiano con la traduzione e prefazione di Maria Cristina Secci, Juan Villoro si domanda se il non accaduto sia all’origine delle vicende umane e della storia del Messico.

Nieves è «una specie di fantasma nella vita di Julio» e quando, dopo ventiquattro anni, torna in Messico con Paola, la moglie italiana che «aveva associato la sua insopportabile tristezza alla cultura messicana», egli sente che «il Messico era Nieves».

Julio ha l’incarico di ricostruire la vita del poeta Ramón López Velarde potendo accedere alla documentazione dello zio Donasiano e torna quando il Pan ha sostituito il Pri, al potere per settantuno anni. Ma che cosa è cambiato? Sul pavimento della tomba di Porfirio Díaz, c’è una lastra che dice: «Il Messico lo ama, il Messico lo ammira, il Messico lo rispetta». L’ha posta un conterraneo nel 1994 l’anno «della sollevazione zapatista in Chiapas e dell’assassinio del candidado del Pri Luís Donaldo Colosio». Nel leggerla Julio pensa che «nella cripta di Porfirio Díaz il tempo si riavvolgeva su se stesso».

L’opera, dice Villoro, nasce da un dialogo tra Octavio Paz e Jorge Luís Borges che chiede il significato del verso «patria, venditrice di chía». Paz gli riferisce che la chía è un seme con cui si fa una bevanda e sa di terra. «Il senso di appartenenza di López Velarde - conclude Villoro - si riassume in questa frase: la patria è la terra che beviamo senza rendercene conto». Da quel dialogo è nato «un romanzo di cinquecento pagine».

Nella vita di López Velarde, morto a trentatré anni, ci fu un amore sublimato per Josefa de los Ríos, una parente lontana che aveva 8 anni più di lui. Anche Nieves aveva 8 anni più di Julio ed era sua parente. La ricerca su López Velarde servirà per «ricostruire l’archivio della tua tribù» gli dice Juan Ruíz che chiosa: e «ti aiuterà a tornare in Messico», volendo dire nell’anima del Messico.

Nieves, Velarde, la storia che Julio porta nel proprio nome che ricorda Julio Valdivieso «El Niño de los Gallos, fucilato a undici anni» nella guerra dei Cristeros.

Il Messico domina la scena e attira nelle proprie viscere il testimone prigioniero del non accaduto. «Il popolo è rimasto fregato due volte, prima perché rivoluzionario e poi perché cattolico; ma solo uno dei suoi calvari è stato raccontato: la Rivoluzione, non la Cristiada». Una storia complessa, spesso di parte e Possesso per perdita, come dice il titolo di una conferenza su Velarde che padre Monteverde trova tra le carte dello zio Donasiano.

Il romanzo porta l’eco della tensione intelligente per dare un corpo unitario ad un complesso di storie personali e messicane con un loro profilo definito e con una lingua vivace piena di rimandi. È un mosaico di tessere che a volte rivelano il timore di qualche incomprensione.

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