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Sondaggi confutati

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Scienza e Filosofia

Sondaggi confutati

Alla fine del 2015 si è ammalato Vittorio Girotto, un amico, lo psicologo con cui più ho lavorato negli ultimi trent’anni. Poco prima di morire, mi disse: «Forse, per molte persone, ci sono cose peggiori della morte, quando questa sta per arrivare. L’assenza di controllo del corpo, bloccato su un letto, la dipendenza dalle macchine, ancor più delle sofferenze, ridotte grazie ai farmaci, con cui mi tolgono il dolore quando soffro troppo». In quegli stessi mesi, negli Stati Uniti, Emily Rubin, una ricercatrice dell’Università di Pennsylvania, insieme ad alcune colleghe, controllava, in un ospedale di Filadelfia, l’ipotesi di Vittorio. Aveva iniziato nell’agosto del 2015 a interrogare 180 malati terminali. Con il dovuto tatto chiedeva loro se avrebbero preferito la morte a una condizione di vita che dipendeva sempre più da farmaci e macchine. Più della metà delle persone ha dichiarato che la morte è preferibile a una vita in cui non controlli più il tuo corpo in modi dignitosi. Con le parole di Vittorio Lingiardi e Nicola Caronte: «non dobbiamo cedere alle opposte visceralità che facilmente si dispiegano quando si toccano i temi dell’inizio o della fine della vita». Le opinioni sull’eutanasia divergono. La ricerca di Emily Rubin mostra però quanto sia fuorviante ricorrere ai risultati di sondaggi condotti su persone sane per argomentare pro o contro l’eutanasia di malati terminali o di chi sopravvive come corpo ma non come persona. Le preferenze dichiarate quando si sta bene possono cambiare. Forse è giunto il momento di non confidare più soltanto nella compassione e saggezza silenziosa dei medici. Necessariamente silenziosa perché un gesto di estrema bontà e di affetto in Italia è ancora in contrasto con la legge. La massima espressione dell’amore la troviamo in film come Amour (2012) di Michael Haneke, dove Jean-Louis Trintignant decide di dare termine alle sofferenze e alle umiliazioni di Emmanuelle Riva, la compagna di una vita.

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