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Voce della Ginevra di Leonardo

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Arte

Voce della Ginevra di Leonardo

Leonardo da vinci.«Ritratto di Ginevra de’ Benci», tempera e olio su tavola, databile tra il 1475 e il 1480, conservato nella National Gallery of Art di Washington
Leonardo da vinci.«Ritratto di Ginevra de’ Benci», tempera e olio su tavola, databile tra il 1475 e il 1480, conservato nella National Gallery of Art di Washington

Ci sono due storie diverse che a un certo punto si intrecciano. Non mancano certo le difficoltà e i problemi tuttora aperti, ma vale la pena di farci i conti, visto che sono in gioco due protagonisti del nostro Rinascimento: Leonardo da Vinci da un lato, Bernardo Bembo dall’altro, il padre di Pietro, di colui che, nel bene e nel male, ha fissato per secoli il canone della nostra lingua letteraria. E nel mezzo c’è una donna: giovane, malinconica; a poco a poco le è stato attribuito un nome; ora, forse, siamo in grado di saperne di più, e di ridarle la parola.

C’è una sala, della National Gallery di Washington, dove i visitatori si fermano numerosi, e con particolare interesse, attirati dal magico nome di Leonardo e da un bel volto femminile, che appare come irrigidito in una sua malinconica lontananza: è la sala dove è custodito il ritratto che viene in genere identificato con quello di Ginevra de’ Benci (ca. 1457-1520), dipinto a Firenze dal giovane Leonardo. È collocato discosto dalla parete, entro una struttura che permette ai visitatori di vederne anche il retro. Intorno a questo quadro, negli ultimi decenni, le ipotesi, le scoperte, le interpretazioni, si sono avvicendate in un crescendo appassionante.

Il ritratto è su di una tavola di piccole dimensioni (cm.38 x 36) che corrisponde solo a una parte dell’originale; già forse prima del 1780 una larga zona inferiore, probabilmente danneggiata, era stata tagliata via. Con una scelta fortemente innovativa, l’immagine non è più di profilo, ma di tre quarti, con una impostazione quasi frontale. La giovane è vestita sobriamente, il volto è caratterizzato da un innaturale pallore, da una pelle che sembra porcellana. La bocca è quasi serrata, e gli occhi guardano davanti a sé, in un punto imprecisato, così da sfuggire al nostro sguardo e da isolare la donna in una sua personale e intatta dimensione. Sui riccioli e sui moti dell’acqua indugia la straordinaria resa della luce. Dietro il volto della donna, si staglia la massa calda e scura delle fronde di ginepro, dipinte con una precisione ossessiva. La massiccia presenza del ginepro è stata interpretata come un omaggio alla giovane rappresentata, come un gioco sul suo nome che, come vedremo, l’impresa sul retro riprende e esalta. Questo ha contribuito a individuare nel nostro quadro appunto il ritratto che, secondo le fonti antiche, Leonardo aveva dipinto di Ginevra de’ Benci. Veniva prima datato al 1474, l’anno delle nozze di Ginevra, ma diversi studi hanno sottolineato il ruolo svolto nel commissionare il ritratto da Bernardo Bembo, ambasciatore a Firenze nel 1475 e 1476 e poi fra il 1478 e il 1480, legato a Ginevra da un amore platonico, ampiamente testimoniato dalle fonti letterarie. Proprio lo studio del rovescio è stato essenziale per questa nuova datazione e anche per aprire un nuovo capitolo, affascinante e ricco di implicazioni, nella storia dell’arte e della letteratura fra Quattro e Cinquecento; me ne sono occupata nel libro Il cuore di cristallo (Torino, Einaudi,2010). Le analisi condotte con la riflettografia infrarossa hanno infatti dato una nuova credibilità al ruolo svolto da Bernardo, perché hanno fatto vedere che il suo motto, «virtus et honor», era iscritto sotto quello attuale.

E passiamo a questo punto dietro il ritratto, per osservare il rovescio. Su di uno sfondo di porfido un ramoscello di ginepro sta al centro di una corona formata da un ramo di alloro e uno di palma. Un cartiglio lega fra loro i tre rami e reca l’iscrizione: «virtutem forma decorat». L’intreccio tra immagini e iscrizioni è particolarmente significativo. Il ramoscello di ginepro che costituisce il senhal di Ginevra è infatti circondato, quasi abbracciato, dalla parte del cartiglio che reca la scritta forma, che evoca dunque la bellezza, mentre la fronda di alloro è sovrastata dalla scritta virtutem; decorat è associato al ramo di palma, quasi a suggerire, insieme all’idea dell’ornamento, quella dell’onore, del trionfo. Abbiamo qui un ritratto doppio, nel senso che l’impresa funziona da ritratto interiore. Il percorso che l’osservatore è chiamato a compiere è quello fra l’intus e l’extra, fra dimensione invisibile e apparenza esterna.

Nascosto sotto il motto che oggi leggiamo sta, come si diceva, «virtus et honor», il motto di Bernardo Bembo. Si è allora pensato che abbia avuto un ruolo nel commissionare il quadro, o forse soltanto il rovescio, anche se i tempi e le modalità sono ancora da chiarire. Ci sono però molti testi che ci mostrano dal vivo il successo personale che Bernardo, mandato a Firenze come ambasciatore della Serenissima, ottiene presso Lorenzo de’ Medici e la cerchia di letterati e filosofi che gli stanno intorno. Ficino ne è incantato; Poliziano, Cristoforo Landino, Alessandro Braccesi gli indirizzano carmi in latino. L’amore per Ginevra de’ Benci segna, in un certo senso, il culmine della celebrazione di Bernardo, perché viene riscritto e cantato in termini neoplatonici, secondo il codice filosofico e galante condiviso dalla cerchia degli amici fiorentini. Il che significa proiettare decisamente l’amore in un’ottica celeste e vedervi un segno della grandezza d’animo di Bernardo. In modo analogo l’amore di Ginevra è collegato con la castità perfetta che la contraddistingue: come ripetono tutti i poeti che ne scrivono, la giovane donna è altrettanto bella che casta, tanto che non si sa dire se domini in lei la bellezza o la pudicizia (la forma e la virtus, come dice il motto sul retro del ritratto, sono legate, tanto che l’una fa da ornamento all’altra). Questo permette di celebrare l’amore fra un uomo e una donna entrambi legati in matrimonio a un’altra persona.

Ma chi era Ginevra? Sappiamo molto poco di lei, e tutto mediato da voci e immagini maschili. Veniva da una famiglia ricca e colta; il fratello Giovanni era amico di Leonardo; a 16 anni va in sposa a un vedovo di 31 anni, che muore nel 1505. Sembra tentata a un certo punto, come ci dicono due sonetti di Lorenzo de’ Medici, dalla vita del chiostro, ma una lettera a lei indirizzata da un sonatore di viola nel 1490 la mostra interessata alla vita mondana di Roma. Sappiamo che amava la musica e la poesia, e ci è arrivato un verso, di una sestina da lei composta. Fino a che, tra le poesie di fine ’400 conservate in un codice dell’Archivio di Stato di Firenze (carte Strozziane, s.II, CXXXV), Marco Faini ha individuato uno scambio poetico che potrebbe avere avuto come protagonisti proprio Bernardo Bembo e Ginevra. Ricordiamo qui gli indizi più importanti: nelle poesie raccolte ci sono un sonetto indirizzato a Bernardo Bembo e uno che elogia le qualità poetiche, precocissime, di Pietro; nello scambio poetico che si diceva l’amante si duole perché sta per partire, si rivolge alla donna usando il senhal del ginepro, e lei risponde da pari a pari, esortandolo a essere forte e ricordando che i loro sono «chasti e degni amori». La misteriosa e malinconica Ginevra ritratta da Leonardo ha così, forse, ritrovato la sua voce.

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