Cultura

Il problema è un approccio più tecnologico che scientifico

  • Abbonati
  • Accedi
PROPOSTE PER IL LICEO / 3

Il problema è un approccio più tecnologico che scientifico

Ho l’impressione che incentrare il dibattito sulla scuola, come talora si fa, sulla vecchia contrapposizione tra modello umanistico e modello scientifico significhi non solo attardarsi vanamente su un dissidio cui veri scienziati e i veri umanisti per primi irridono da tempo, ma perder di vista quello che oggi è forse il problema più insidioso, cioè la presenza sempre maggiore di un approccio piuttosto tecnologico che scientifico nei nostri modelli educativi.

Qualche tempo fa, nella Svizzera in cui abito mi è capitato di ricevere lo stesso giorno due messaggi contrastanti, se non proprio schizofrenici. Aprendo il giornale, leggo le dichiarazioni trionfalistiche del Cantone di Berna, che doterà tutti i bambini delle scuole primarie di un tablet per familiarizzarli con le nuove tecnologie. Chiuso il giornale, passo alla posta e ne traggo un volantino in cui il mio Comune annuncia un’azione di prevenzione contro gli eccessi nell’uso dei monitor da parte dei bambini.

Le assurdità sono, d’altra parte, all’ordine del giorno. L’università in cui lavoro mi ha invitato a esprimere il mio parere su un progetto d’innovazione pedagogica che prevede la creazione di un’app grazie a cui gli studenti di una facoltà scientifica potranno sostituire molte ore di laboratorio con una specie di simulatore digitale di quell’ambiente, consultabile dallo smartphone. Idea geniale, secondo chi l’ha proposta, che permetterà ai ragazzi di esercitarsi in qualsiasi momento della giornata, anche a casa, a letto, o in giardino. Nel mio parere, ho fatto notare che lo sforzo principale di noi insegnanti, anche all’università, dovrebbe essere forse quello d’indurre i ragazzi ad alzare la testa dai supporti tecnologici verso i quali si volgono di continuo – anche senza aver avuto un tablet in grembo fin dall’infanzia –, piuttosto che procurar loro nuove occasioni per immergervisi, alimentandone il livellamento mentale. Dubito d’essere stato ascoltato, anche perché il mio parere era manoscritto, non visualizzato su uno schermo.

Solo qualche decennio fa, propagandare una merce con aggettivi come industriale o sintetica significava conferirle l’aura d’una novità seducente. Il contrario accade al giorno d’oggi, in cui sommersi da prodotti seriali e da plastica di cui non possiam più fare a meno, cerchiamo disperatamente il riscatto nell’artigianale e nel naturale, mentre oceani e foreste s’affollano di polimeri, e chimica, plastica, prodotto industriale sono diventate parole lugubri nella comunicazione. E se con il mantra tecnologico dei nuovi modelli educativi ci incamminassimo sulla stessa strada? Se ciò che ci viene spacciato oggi come positivo, anzi risolutivo perché tecnologico dovesse trasformarsi, di qui a qualche anno, nel simbolo intossicante di una tecnica che anziché arricchire desertifica mentalmente? Maturare atteggiamenti meno ingenui di quelli cui ci induce il mainstream pedagogico coi suoi seducenti acronimi – il più modaiolo: STEM education (science, technology, engineering, mathematics, con le due componenti centrali frapposte quasi a lobotomizzare le estremità) – significa forse evitar di passare, tra crociate per l’innovazione e programmi di disintossicazione, da un estremo a un altro.

© Riproduzione riservata