
Princeton N.J.
26 maggio 1939
Caro Signor Zweig,
In mezzo al tumulto e all’incertezza, alle minacce di guerra e al pericolo di un nuovo accordo, una cosa è sempre più chiara: la decisione deve essere e sarà presa dalla Germania. Fin quando il popolo tedesco non si sarà liberato dalla sua “guida” non ci sarà mai, nel mondo, una pace duratura. Noi da tempo lo sappiamo, ed ora anche il mondo comincia a capirlo. Sappiamo anche che il popolo tedesco, in fondo, odia il regime. Esso teme la guerra più di quanto tema Hitler. L’avversione e la profonda, angosciosa diffidenza del popolo tedesco verso il regime nazista non è, all’origine, di natura politica. Ciò che disgusta i migliori fra i tedeschi è il baratro morale, l’abominevole degrado culturale e civile, in cui sentono di precipitare. È accertato che negli ultimi sei mesi molti tedeschi hanno lasciato il loro paese, non per ragioni razziali o perché fossero in sospetto di oppositori, ma semplicemente perché il pogrom di novembre e la furia propagandistica contro la Cecoslovacchia non erano più tollerabili. Essi riferiscono con quanta avidità i tedeschi si strappino di mano scritti e pubblicazioni che provengono da fuori, dalla libertà. Ciò non solo per la dolorosa sete di sapere la verità, ma anche per il desiderio di dignità e di riflessioni pacate, e per la nostalgia della voce dello spirito e delle buone maniere. [...] È indispensabile il collegamento fra i tedeschi in Germania e noi che siamo la cultura tedesca in esilio. [....] Le nostre voci avranno una eco in patria solo se ci faremo sentire con insistenza. [...] Caro Signor Zweig, mi lasci riassumere: oltre ai nostri doveri più immediati, accanto e oltre le necessità d’ogni giorno, abbiamo il dovere e il debito di esercitare il nostro influsso verso i tedeschi. Solo se e quando i tedeschi si libereranno di Hitler si potrà evitare la guerra. [...] I tedeschi devono essere indotti a ragionare, e chi dovrebbe farlo, se noi continuiamo a tacere?
New York, 29 luglio 1940 [...In Inghilterra] già dalle prime giornate di guerra osservavo con preoccupazione come gli inglesi la conducessero con il ritmo e la calma della pace, preoccupati soprattutto di turbare il meno possibile la vita privata. Sognavano di condurre la guerra con un blocco navale e non hanno impegnato nel momento giusto uomini ed energie. Ora che sono con le spalle al muro sviluppano una forza sorprendente. Ma che cosa possono nervi saldi contro carri armati? Lo vedremo nelle prossime settimane. È doloroso per me osservare la stesso orgoglioso e passivo comportamento in America, la stessa fatale politica di insultare e irritare gli aggressori, lasciandoli però rafforzare osservando un'assoluta neutralità. Sacrificando la flotta inglese, l'America perde la sua prima linea di difesa. [...] Purtroppo non siamo ancora alla fine. Così come noi emigranti capimmo il pericolo più chiaramente degli inglesi, così ora gli europei percepiscono in anticipo l'emergenza dell'America, nel suo benessere attuale, ora, come allora in Inghilterra, senza l'idea di una soluzione. [...] Lei è così gentile da chiedermi dove penso di andare. Non lo so. [...] Cerco, per ora, di non pensarci e mi lascio trascinare. Prima o poi la tempesta finirà oppure finiremo noi. [...]
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