Più che Risurrezione è una vera e propria Incoronazione quella che il pubblico e i musicisti del Concertgebouw di Amsterdam tributano a Daniele Gatti, al debutto come direttore principale della prestigiosa compagine olandese. Lui gioca una carta rischiosa, qui inevitabile: una grande Sinfonia di Mahler, la Seconda (detta appunto Resurrezione, dalle parole che intona in conclusione il Coro). Insidiosa perché in questa sala si è fatta la storia delle esecuzioni mahleriane. E chi da ultimo vi arriva sa che in quelle impronte non può arenarsi. Proprio per essere fedele a Mahler, che chiedeva la tradizione come accensione del fuoco e non custodia delle ceneri.
La Sinfonia è da subito impressionante: nei primi minuti staglia netti i contorni di un compositore talentoso e sofferto di fine Ottocento. C’è tanto Wagner, negli impasti rutilanti degli archi, sottesi a un declamato dei contrabbassi mai sentito tanto pregnante e vocale; ma accanto c’è anche tanta poesia boema, innocente e limpida nei disegni semplici, rasserenanti; e poi c’è Vienna, raccontata nei fasti e troppo ricca, sul crinale del non ritorno. Tutto il mondo che aveva intorno racconta Mahler, declinandolo sul pedale di una malinconia ebraica solo sua.
Quel mondo diventa forma musicale. Scardinando la tradizione, l’architettura sinfonica. Mantenendo la scintilla. Gatti si mette dalla sua parte, totalmente: ausculta la componente emotiva e spirituale; valorizza insieme ogni dettaglio della partitura, facendo brillare il virtuosismo strumentale del meraviglioso e audace orchestratore. Mahler chiede suoni nuovi. L’orchestra del Concertgebouw li restituisce. Possono essere gli archi all’unisono, veloci, perfetti, sgranati e senza bisogno del battere (nell’Allegro maestoso iniziale) oppure un pizzicato, uno solo, che chiude e vola riempiendo la sala. O ancora il gioco dei timbri, nelle medesime famiglie strumentali: nei temi del seducente Andante moderato, dobbiamo abbandonarci al Ländler dei primi violini, tanto smaccatamente seduttore, oppure è meglio fidarsi di quel controcanto che di scorcio si insinua coi violoncelli? Tanto diversi, stanno insieme benissimo.
Gatti è un maestro del colore. Oggi più che mai ne fa la ragione dell’essere sul podio. Con un gesto naturalmente bello - i tempi ternari, i valzer, sono una delizia - e soprattutto in dialogo con i musicisti. Ovvio che Amsterdam lo adori: è stato amore a prima vista. Lo chiamano nella trasmissione di punta la domenica in tv e coniano il motto “Gatti meets A’dam” sparato rosso a caratteri cubitali sulla facciata del Concertgebouw, per pubblicizzare i suoi prossimi concerti, da settembre a gennaio e in giugno e luglio. La pennellata del Coro, incredibilmente impalpabile, in “Aufersteh’n”, profilata da Annette Dasch e Karen Cargill, resta già incisa nel cuore di Amsterdam.
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