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Ritrattista di ruggiti e barriti

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PARIGI

Ritrattista di ruggiti e barriti

Immagini sonore.  Bernie Krause all’île de Saint Vincent  in Florida, 2001 (foto di Tim Chapman)
Immagini sonore.  Bernie Krause all’île de Saint Vincent in Florida, 2001 (foto di Tim Chapman)

Si può vedere il barrito di un elefante? Si può raccontare la complessità della natura in un museo di arti visive? Si può fare una mostra di arte e scienza in cui l’arte non sia solo illustrativa, e la scienza non solo didascalica? Le Grande Orchestre des Animaux, alla Fondazione Cartier di Parigi, è un esempio inusuale e riuscito di collaborazione tra scienziati, artisti contemporanei e... Bernie Krause, studioso che si muove da decenni a cavallo tra le due discipline. Nato musicista, Krause è poi diventato il più importante studioso di bioacustica e il più ricco collezionista di paesaggi sonori.

La mostra parigina, che intorno al lavoro di Krause ruota concettualmente e visivamente, ha virtualmente preso il via nei Muir Woods, una foresta a nord di San Francisco, nell’autunno del 1968, quando un Krause trentenne andò a registrare i suoni della natura con il sistema di microfoni sensibilissimi che usava insieme al collega Paul Beaver per comporre colonne sonore di film. Con le cuffie alle orecchie, quel giorno Krause scoprì un «nuovo spazio acustico» da cui venne risucchiato, un mondo di vita segreta che gli parve «non lontano da una rivelazione divina». Qualche anno dopo, quasi quarantenne, Krause lasciò il mondo della musica per un dottorato in Arti Creative e un primo lavoro in Bioacustica Marina, e partì alla scoperta delle voci del pianeta. In quarant’anni, ha messo insieme una libreria di 5mila ore di registrazioni, dalle foreste artiche alle acque oceaniche, dalle barriere coralline alle paludi mesoamericane, dai ghiacciai alle foreste pluviali, rilevando i vocalizzi di 15mila specie animali. È stato lui a creare la parola “biofonia”, che indica il suono complessivo prodotto dagli animali (uomo escluso) in un determinato ambiente naturale. Sommato alla geofonia - i suoni della terra dell’acqua, dell’aria - e all’antropofonia, il rumore di origine umana, compone un soundscape, un paesaggio sonoro.

Oggi alcuni dei soundscapes di Krause si possono ascoltare online (www.thegreatorchestraofanimals.com) - ma in natura non esistono più. «Oltre la metà del mio archivio», dice lui, «proviene da siti che sono oggi completamente silenti, o radicalmente alterati dall’uomo, al punto che le biofonie e le geofonie originarie non possono più essere ascoltate».

La mostra della Fondation Cartier è nata per mettere a disposizione una parte di questo ricchissimo materiale anche al pubblico che è abituato ad esperire prima con gli occhi che con le orecchie: «Desideravamo fare una mostra sul mondo animale da molto tempo» spiega Thomas Delamarre, co-curatore insieme al direttore Hervé Chandès, «e il lavoro di Krause è un magnifico punto di ingresso per portare i visitatori in viaggio nella natura selvaggia, offrendo un’esperienza sensoriale diversa sulla biodiversità e sulla coesistenza delle diverse specie».

Per realizzare l’installazione tridimensionale che fa da nucleo alla mostra, a Krause è stato affiancato un collettivo di artisti di Londra, gli United Visual Artists. Il risultato è un’ambiente avvolgente in cui si avvicendano sette nicchie sonore diverse, dallo Zimbabwe all’Amazzonia. Balene, elefanti, rane, giaguari, tucani, formiche, pappagalli e coralli si inseriscono come strumenti («Ognuno con una sua precisa larghezza di banda!») nell’orchestra della natura, resa visibile da un grande schermo su cui si animano gli spettrogrammi, traduzioni visive dei suoni. A terra, una piccola pozza d’acqua vibra e s’increspa alla comparsa delle voci animali.

Insieme alla stimolazione estetica e sensoriale passa un messaggio profondo, ineludibile, sull’emergenza ecologica di alcuni habitat: la voce di una barriera corallina viva delle Fiji si confronta con il silenzio di un reef ucciso dai cambiamenti climatici e dagli interventi umani.

«È un risultato che va oltre i miei sogni più arditi”, dice Krause, che prima di questa occasione aveva lavorato di rado insieme ad artisti visivi: “Finora mi ero appoggiato, con poco successo devo dire, a dei designer. La Fondation ha invece capito immediatamente che ogni aspetto del mio lavoro doveva essere portato alla vita in modi mai nemmeno concepiti prima, che il design doveva essere guidato dal suono, e che la grafica doveva servire a enfatizzare il suono. Questo apre immense possibilità per il futuro della Sound Art».

Con i soundscapes di Krause ci sono in mostra un disegno lungo 18 metri di Cai Guo-Qiang, gli scatti di Hiroshi Sugimoto che ha fotografato i diorami dell’American Museum of Natural History di New York, le immagini “rubate” dal giapponese Manabu Miyazaki grazie a macchine fotografiche robotiche, una video-voliera di uccelli del paradiso della Nuova Guinea filmati dai ricercatori del Cornell Lab of Ornithology, l’installazione Plancton realizzata da Christian Sardet, direttore di ricerca al CNRS (Centre National de la Recherche Scientifique), accompagnata dalla musica di Ryuichi Sakamoto.

Krause sottolinea come l’uso della tecnologia permetta oggi di raccogliere e trasformare dati in modo che nel binomio Arte & Scienza entrambe le discipline si possano esprimere nel modo più compiuto - cosa che non sempre è stata possibile o ben vista. «Come “soundscape ecologist” sono sempre stato perplesso davanti alla riluttanza degli accademici nel collegare scienza e humanities», dice. «Gli scienziati sono tradizionalmente diffidenti all’idea di uscire dai confini tradizionali delle pubblicazioni peer-reviewed e dei congressi ufficiali. Quei pochi di noi che ci hanno provato, sconfinando nei campi della letteratura, della poesia, della grafica, del teatro, del video o della musica, hanno subito il rifiuto, la derisione e la svalutazione del loro lavoro».

Ma nell’«eccellente compagnia» di quelli che invece «hanno corso il rischio, in modi diversi», Krause cita Charles Darwin, Rachel Carson, E. O. Wilson, Loren Eiseley, Jane Goodall, Stephen Jay Gould, Isaac Asimov, Neil deGrasse Tyson, Temple Grandin, Roger Payne: «Come scienziati convinti del valore del nostro lavoro siamo tenuti a investire in nuovi modi per raggiungere pubblici più ampi. La creatività è un elemento chiave nella scienza come in molti formati espressivi umanistici: il lavoro degli scienziati sarebbe impossibile senza qualche forma di ispirazione creativa a guidarlo. E spesso i risultati della ricerca scientifica sono più coinvolgenti quando li si guarda attraverso la lente dell’arte».

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