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Sette tipi di esitazione

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Sette tipi di esitazione

Pubblichiamo un estratto del testo che Susanna Basso, vincitrice del Premio per la traduzione «Giovanni, Emma e Luisa Enriques», leggerà il 23 settembre durante la cerimonia nel corso delle XIV Giornate della traduzione letteraria (in giuria Ernesto Ferrero, Piero Toffano, Ilide Carmignani). Basso è traduttrice, fra gli altri, di Alice Munro, Ian McEwan, Kazuo Ishiguro e Jane Austen. Le Giornate si tengono fino al 25 settembre all’Università di Urbino. Tra gli ospiti Mercedes Ariza, Rossella Bernascone, Giovanni Bogliolo, Luigi Brioschi, Marco Cassini, Franca Cavagnoli, Renata Colorni, Lorenzo Enriques, Lorenzo Flabbi, Luca Formenton, Giancarlo Maggiulli, Mariagrazia Mazzitelli, Yasmina Melaouah, Anna Mioni, Jürgen Boos e Paolo Nori

Partiamo da una frase.

«L’arma del traduttore è l’esitazione».

Forse no. Forse meglio: «L’esitazione è l’arma del traduttore»

Che sia uguale? È uguale affermare che l’arma del traduttore è l’esitazione e che l’esitazione è l’arma del traduttore? Beh, nel primo dei due enunciati l’arma del traduttore costituisce il tema e l’esitazione il rema; nel secondo dei due, ovviamente è vero il contrario. Perciò, a ben guardare, non è la stessa cosa. E dunque, qual è il mio vero tema? Quale voglio che sia il soggetto dell’enunciato? Ma quale soggetto, poi? Quello grammaticale, quello psicologico, quello logico?

E ancora, perché dico “arma”? Che cosa mi fa attingere alla sfera semantica del conflitto? Contro chi o che cosa combatto quando traduco? Non posso esprimere il pensiero ricorrendo a un’immagine meno bellica, per non dire decisamente non bellicosa?

Proviamoci.

«La risorsa del traduttore è l’esitazione». Che ne dico di “risorsa”? L’etimo non è male: dal latino resurgĕre. La definizione del Vocabolario Devoto/Oli propone: «Mezzo o capacità disponibile, consistente in una riserva materiale, o in un’abitudine a reagire adeguatamente alle difficoltà». Sì, potrebbe andare, anche se… Non mi convince appieno, mi risulta meno immediata, forse quell’idea che qualcuno, qualcosa debba risorgere è un tantino eccessiva, forse perfino scorretta. Diciamo che “risorsa” mi serve per quello che voglio dire, ma non mi completa il pensiero.

Che altro? “Strumento”?

«Lo strumento del traduttore è l’esitazione» (O viceversa, «L’esitazione è lo strumento del traduttore»: quella dell’ordo verborum rimane comunque una questione in sospeso)

L’etimo di “strumento” è a sua volta interessante: il latino instruĕre da cui instrumentum, rimanda al concetto di costruire. Sì, costruire è una buona idea, senz’altro meglio dell’arma, e magari anche della resurrezione.

Vediamo il Devoto. Uno strumento è un «arnese indispensabile per lo svolgimento di un mestiere». Direi che ci siamo. Un arnese per costruire. Come uno strumento musicale, ad esempio. Il traduttore suona la propria esitazione. Esatto.

Quel che è certo, anche da questo esordio, è che il traduttore medio esita. Sono vissuta esitando. Ho esitato per ore, quasi ogni giorno. Non posso dire che non sia faticoso. Non posso dire che nello spazio mentale dell’esitazione non alloggi a volte un desiderio di fuga. Perché stare lì, protrarre il tempo dell’esitazione, può rivelarsi estenuante. Può condurre a decisioni, secondo il cliché verbale, “affrettate”. In che senso è affrettata una decisione affrettata? Per il traduttore, nel senso che è il contrario dello strumento, appunto, dell’esitazione. Rinuncio allo strumento e decido, cioè taglio via, escludo, separo, lascio indietro, elimino. Il traguardo vero del traduttore esitante è un altro, è la scelta, l’elezione, l’adozione. Adotto parole, frasi, ordini verbali, li suono come so al mio strumento di esitazione.

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