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Studiare sodo:questo serve!

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PROPOSTE PER IL LICEO / 2

Studiare sodo:questo serve!

Io ho fatto il liceo classico. Mio padre e mia madre hanno fatto il liceo classico e così le mie sorelle e tutti i miei zii e zie. Due mie figlie hanno fatto il liceo classico, lo stesso i miei nipoti. Ho una figlia piccola che presumibilmente farà il liceo classico (se ancora questo ordine di scuole starà in piedi). È fuori discussione che, nella scelta delle scuola secondaria superiore, sono gli adulti a incidere ben più dei diretti interessati. E in questa scelta prevale un certo conservatorismo inerziale a favore di ciò che ci è più noto e famigliare. Nel caso del liceo classico, il tutto è condito da un particolare spirito di corpo: chi ha avuto a che fare per 5 anni con greco e latino mantiene il retropensiero che quella è la scuola per i “bravi”, anzi per i “più bravi”. Ai miei tempi, nel giudizio al termine delle scuole secondarie inferiori, all’alunno di buon profitto si raccomandava di accedere al liceo classico. Quasi fosse la logica conseguenza di un miglior patrimonio individuale di competenze e conoscenze (come oggi si direbbe).

Oggi il liceo classico si presenta in vistosa crisi. Le iscrizioni sono andate calando e anche i bastioni tradizionali, tutti dislocati da Roma in giù, cominciano a cedere. Ci interroghiamo dunque sul futuro di questo pezzo del nostro sistema formativo. E una qualificatissima minoranza cerca di trovare o ritrovare ragioni per controbattere al declino di quella che, tra il 1923 e il 1940, fu definita come l’unica porta di accesso a tutti i percorsi di studio universitari e come irrinunciabile biglietto d’ingresso alla classe dirigente nazionale.

Molti di questi argomenti sono fondati e ragionevoli. La salvaguardia del greco e del latino – recentemente pesantemente penalizzati nei licei francesi – viene giustificata con il peso che la cultura classica ha nella nostra tradizione nazionale e che tocchiamo e vediamo concretamente nel paesaggio artistico e monumentale delle nostre città. Ci si richiama alle capacità cognitive e logiche che l’esercizio della traduzione consente di sviluppare. Ovvero si esalta come valore l’assoluta “inutilità” delle lingue “morte” come occasione per sviluppare un disinteressato amore per il sapere. Contrapposto, quest’ultimo, alla visione utilitaristica che vorrebbe vedere nella scuola una sorta di laboratorio di formazione professionale, propedeutico all’accesso nel mondo del lavoro.

Personalmente accetto e sposo pressoché tutte queste motivazioni. Nello stesso tempo, però, le trovo insufficienti. Non vedo, in particolare, quale sia il superiore valore formativo del greco e del latino rispetto all’algebra, alla biologia o alla chimica. Me ne dolgo (bene o male sono laureato in lettere classiche) ma davvero non ci riesco. Se così è, allora, quale argomento rimane a supporto della scuola meno up-to-date (anglismo idiota ma voluto) che ci sia, in Italia e non solo, per di più certamente destituita di ogni funzione meccanica di selezione della classe dirigente?

L’argomento io ce l’avrei. Anzi, ce l’ho. E in verità l’ho ritrovato anche nelle riflessioni espresse, sempre sul Domenicale, da Paola Mastrocola (che non insegna più, ma capisce e ama la scuola). Il liceo classico serve - insisto: serve – perché è la scuola dove, in linea di massima e per il momento, si studia di più. Questo è un bene e un valore di portata straordinaria. Sappiamo o dovremmo sapere tutti che uno dei rischi crescenti di tutti i sistemi formativi è quello della disabitudine alla concentrazione e all’applicazione nello studio. Non mi soffermo sulla discussione se ciò dipenda dai cambiamenti dello scenario tecnologico e culturale\antropologico. La questione c’è e si imporrà sempre di più di fronte all’imponente fenomeno dell’analfabetismo di ritorno, alla questione (fortissima in Italia) dell’abbandono scolastico, al tema della oggettiva impossibilità di schiacciare tutto l’universo dell’istruzione sulla formazione professionale. Saper studiare è, per dirla in didattichese, la competenza del futuro.

Certo, lo stesso potrebbe farsi in un super-liceo tecnologico o economico-sociale (che esistono solo sulla carta). Ma, nell’attesa che sorgano – non si sa con quali visione, risorse e personale – questi nuovi ordini di scuole perché distruggere l’unico che per conformazione ha la peculiarità assoluta di imporre la disciplina dello studio?

Un’unica avvertenza, dunque. Non annacquiamo il liceo classico, come purtroppo sta già avvenendo e in modo pateticamente maldestro. Il liceo classico, con pochi correttivi e aggiornamenti (specie sulle lingue straniere), deve rimanere quello che è: la scuola dove si studia di più e dove ci si prepara a sviluppare l’ingrediente fondamentale per continuare con profitto e successo gli studi. Ben venga che ciò accada attingendo al meglio del nostro patrimonio culturale e educando il gusto per la bellezza. Ma il punto fondamentale resta esattamente quello per cui il liceo classico è in realtà sempre meno popolare: lo studio come metodo e fatica, non come gioco di società o come adempimento burocratico da espletare. In un mondo sempre più incline al consumo passivo di immagini o adagiato nell’illusione della cultura fai-da-te sulla Rete, “potente” sarà chi è capace per tutta la vita di studiare.

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