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Tommaso è cresciuto

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RIFLESSI NEL GRANDE SCHERMO

Tommaso è cresciuto

«Tommaso» di Kim Rossi Stuart. Cristiana Capotondi (Federica) e Kim Rossi Stuart (Tommaso)
«Tommaso» di Kim Rossi Stuart. Cristiana Capotondi (Federica) e Kim Rossi Stuart (Tommaso)

Dieci anni separano Anche libero va bene da Tommaso (Ita-lia, 2016, 97’), opera seconda di Kim Rossi Stuart. Nella finzione, tra le due storie ne sono trascorsi circa venticinque. Oggi si chiama Tommaso (Rossi Stuart), il Tommi del primo film. Il ragazzino di allora ha quarant’anni ed è un attore di successo. Ma è anche un uomo immaturo, inadeguato alla vita adulta. Chiuso in sé e nella propria sofferenza, non sa vedere la complessità di una donna e del rapporto con lei, e così cede ancora di più alla sofferenza. Come a suo tempo il padre Renato, anche lui si direbbe un “adulto adolescente”. Ma la sua crescita mancata pare abbia radici più profonde, più dolorose. Qualcosa incombe su di lui, forse l’invadenza della madre Stefania (Dagma Lassander), o forse la sua assenza venticinque anni prima. In ogni caso, si tratta di veleno, proprio come quello delle processionarie dentro al nido che penzola da un albero nel giardino della sua casa di campagna.

Il racconto inizia con un monologo. Devo trovare il modo di lasciare Chiara (Jasmine Trinca), dice Tommaso a Mario (Renato Scarpa). Sente che la sua compagna lo limita, che non gli permette di essere se stesso. Per tutta risposta, Mario lo invita a ritrovare il bambino che si nasconde in lui, e a liberarlo. Non è particolarmente originale, lo psicoterapeuta. Infatti, neppure la sceneggiatura sembra prenderlo troppo sul serio. Che cosa significa ritrovare il bambino in sé? E poi, se Tommaso ne fosse capace, se fosse tutta qui la via d’uscita, non avrebbe motivo di chiedere aiuto a uno psicoterapeuta.

Il film ha spesso i toni leggeri di una commedia. Per una buona metà è la descrizione delle avventure, anzi delle disavventure erotiche e sentimentali di Tommaso. Quando Sonia lo lascia – è lei che prende l’iniziativa, non lui –, la sua immaturità arriva fino a mettergli qualche lacrima negli occhi. Ha quello che diceva di desiderare, la fine di una convivenza ormai ingrata, ma è tanto codardo da non volerne portare alcuna responsabilità, soprattutto non di fronte a se stesso. In ogni caso, confortato dal parere di un amico che si dice bene informato (Edoardo Pesce), non perde tempo. Presto dimenticata Sonia, si mette in caccia delle mille signore e signorine impazienti che, là fuori, aspettano maschi da gratificare.

Potrebbe ridursi a una delle molte, troppe commediacce italiche scritte male e recitate peggio, Tommaso. E invece sa tenere fede alla essenzialità raffinata di Anche libero va bene. Quello che davvero interessa Rossi Stuart – e il cosceneggiatore Federico Starnone – non è il lato comico della vicenda, che pure c’è, ma il peso che grava sul suo protagonista, il veleno che minaccia di distruggergli la vita.

Per lui ogni donna è una possibilità fantasticata, ora con l’entusiasmo e la stupida aggressività di un adolescente in piena tempesta ormonale, ora invece come se da lei si aspettasse dolcezza, comprensione e chissà quale altra panacea per la propria insicurezza. Aspirante regista, su tutto questo vorrebbe girare un suo film – un pessimo film, gli dice la sua agente (Serra Yilmaz) –, costruito legando fra loro i sogni e gli incubi che gliene vengono anche da sveglio. Per sua fortuna, a fargli trovare la maturità, e a fargli evitare il film, penserà il nido di processionarie che gli pende sulla testa. E insieme ci penserà una donna: una donna che in qualche modo gli somiglia, e di cui finalmente intuisce la complessità.

Tommaso non ha l’equilibrio narrativo di Anche libero va bene, ma ne conferma la sincerità e l’impegno, insieme con il rispetto e l’amore per le ragioni del cinema. Nella sua vicenda Rossi Stuart entra ed esce personalmente, ora suggerendoci possibili spunti autobiografici, ora allontanandosene con una punta di ironia, attento a non cadere nel narcisismo che pure è del suo personaggio. Non è di molti questa capacità di coinvolgersi nel proprio lavoro, e insieme questa attenzione a controllarlo, invece di farsene controllare. A noi pare certa, la sua maturità d’autore.☻☻☻☺☺

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