Cultura

Giorni festivi e sogni nel Rinascimento Georgia, Paese della fede

  • Abbonati
  • Accedi
Religione

Giorni festivi e sogni nel RinascimentoGeorgia, Paese della fede

I divorzi, si sa, costano. Le spese raddoppiano, le entrate si dimezzano, e alla tristezza può talvolta accompagnarsi la miseria. Per tutto il medioevo, e fino a che è rimasta sposa, anzi ancella dei teologi, alla filosofia non è poi andata così male. Un tetto l’ha avuto, abiti decenti se non proprio sontuosi, e il supporto del grande apparato organizzativo della chiesa. I guai sono cominciati con l’Umanesimo, con quella fissazione d’esser indipendente, emula degli antichi, libera da costrizioni di dottrina. Da sola, senza l’aiuto della teologia, la bella inquieta ha cominciato a restringersi, a immiserire e, diciamocelo, a far quasi la fame. «Povera et nuda vai, Philosophia, dice la turba al vil guadagno intesa», lamenta già Petrarca. Senza un soldo, d’accordo, ma a rinunciare ai vestiti si rischiano raffreddori d’inverno e avances spinte in tutte le stagioni, con danni alla morale e al decoro. Ecco perché alcune anime pie hanno cercato ben presto di coprirla e scaldarla, questa nostra avvenente squattrinata. È il 1417, e per far le cose in grande, si fonda addirittura uno Stato tutto per lei, grande quanto basta ad accogliere madama Sapienza e i suoi seguaci, o amanti che dir si vogliano. Il nome? «Repubblica delle lettere», così la chiama Francesco Barbaro in un’epistola a Poggio Bracciolini, e ne disegna per primo il territorio libero, vasto, luminoso. Anziché armi e denaro, nello Stato dei dotti governano i libri e l’inchiostro. Se gli altri, i vili, inseguono l’oro, i cittadini della Repubblica cercano i vecchi manoscritti dei classici greci e latini. Mettono a soqquadro cantine e granai, strappano ai topi qualche rimasuglio di Cicerone d’annata o un Quintiliano, «pieno di muffa e di polvere». Con le pergamene rabberciate rivestono le grazie di Filosofia e della sua sorella, la Retorica dagli occhi alteri. La Repubblica fondata da poco è tutta un fervore di scoperte, di lettere e di pettegolezzi, ognuno mette in mostra quello che sa, in una gara di emulazione che a guardarla dai tempi nostri, di poveri servitorelli di Wikipedia, ci fa sospirare d’invidia. E non crediate che questa Res publica umanistica detti legge solo a Firenze, a Roma o a Venezia. Se volete spingervi un poco più a sud, a Napoli, sarete accolti da un tipo un po’ strano, giureconsulto e amabile chiacchierone. Nato nel 1461, e vissuto a lungo nella città partenopea, Alessandro d’Alessandro riassume in sé pregi e difetti di quell’antica genia di letterati: una gran erudizione, il gusto del racconto, e qualche fanfaronata. I suoi Giorni di festa, pubblicati in latino e tradotti con garbo da Mauro de Nichilo, furono al loro tempo un best-seller internazionale. Volete trovarvi sulla spiaggia, d’estate, a discorrere della differenza tra reperio e invenio? O preferite una serata tra amici, a mangiar «vecchia zucca, con un gambo di lattuga guarnito di acini d’uva passa», mentre un giovinetto canta le Elegie di Properzio? D’Alessandro parla, divaga, descrive, si abbandona ai piaceri della tavola e s’arrabbia come un matto se qualcuno fa un errore di grammatica. Quando non ha la fonte, l’inventa, e infila certe autorità antiche messe lì pour épater – che le diresti false e spergiure.

La bellona languida, Philosophia, ascolta, sorride, tace. Forse non è proprio ben vestita, e se non nuda, è in négligé. Ma al fuoco di tante ciance colte, almeno non trema. Nella repubblica italica delle lettere, sezione partenopea, si stava al caldo. Finché è durata.

Accompagnato dal motto «Pax vobis», scritto in latino e in georgiano, Papa Francesco arriverà il 30 settembre a Tbilisi in Georgia, un viaggio per valorizzare le antiche radici cristiane dell’area caucasica. Il 2 ottobre passerà in Azerbaigian per incontrare la comunità musulmana. Il viaggio apostolico segue la recente visita in Armenia e si innesta nello storico abbraccio con il patriarca di Mosca Kirill, avvenuto all’aeroporto di Cuba il 12 febbraio. Erano secoli, precisamente dallo scisma del 1054, che la Chiesa di Roma e quella ortodossa russa non si parlavano. «Camminiamo insieme, siamo fratelli» è stata l’esortazione di Bergoglio mentre sottoscriveva, insieme al primate russo, l’impegno a lavorare per la pace in Siria e Iraq e a difendere la famiglia «fondata sul matrimonio uomo-donna». In Georgia si compirà un’ulteriore tappa della collaborazione tra cattolici e ortodossi, riprendendo una tradizione preziosa che ha caratterizzato i rapporti tra Roma, Bisanzio e la Georgia fino alla rottura dell’XI secolo. La Georgia si presenta come Chiesa apostolica perché qui ha predicato il Vangelo l’apostolo Andrea; è il primo Paese che nel 327, poco dopo l’editto di Costantino, si converte e si proclama cristiano grazie a santa Nino, una schiava presente alla corte reale; vescovi georgiani avevano partecipato al primo Concilio di Nicea (325) contribuendo alla definizione del Credo e saranno attivi al Concilio di Calcedonia (451) dove fu condannato il monofisismo. Una Chiesa, insomma, protagonista e non marginale. Ed è il suo monachesimo, molto legato alla Palestina, a imprimere una forte accelerazione religiosa, teologica e culturale nel paese e nell'area circostante concepita come terra di missione in cui edificare monasteri georgiani dediti alla predicazione e specializzati nella traduzione dei testi sacri e dei Padri.

Poco dopo il Mille, re Davide IV il Costruttore, persegue e realizza il sogno di creare in Georgia, precisamente a Gelati, una nuova Atene e una nuova Gerusalemme. Un luogo dove i monaci e i migliori intellettuali del tempo coltivassero le scienze, la filosofia, l’arte. Sorgono complessi architettonici e chiese originali per impostazione, al punto da parlare di stile georgiano. Le verità della fede sono affidate al rigore e alla bellezza di cicli pittorici che parlano ai fedeli. Paese di innumerevoli invasioni e di continue dominazioni, ha sempre conservato la fede cristiana a costo di affrontare il martirio come è avvenuto anche nel Novecento durante il regime sovietico.

Un prezioso strumento, appena edito, per comprendere le ragioni del viaggio di Papa Francesco e la ricchezza della tradizione ortotossa è il volume curato dalla famosa archeologa americana Marilyn Kelly-Buccellati: «Georgia. Paese d’oro e di fede» i cui contenuti hanno ispirato e accompagnato un’ampia mostra al Meeting di Rimini. Professoressa emerita della California State University di Los Angeles, a lei si devono importanti scoperte, insieme al marito Giorgio Buccellati, in Iraq, Siria, Turchia. Oggi è impegnata in scavi proprio in Georgia. Dalla passione per questo Paese è nato il volume con approfonditi saggi di studiosi georgiani e di due docenti dell’Università Cattolica di Milano, Marco Rossi e Alessandro Rovetta. Scrive Marilyn Kelly: «La Georgia appare come un modello esemplare di una comunità umana che si mantiene integra nel tempo. Da un lato, il senso di identità affonda le radici in un ricchissimo humus naturale e spirituale. Dall’altro, questa stessa identità si rafforza nel confronto con l’altro, nutrendosi nella pace e potenziandosi nel conflitto». Le antiche radici culturali comuni ai regni mesopotamici, le relazioni con la civiltà greca - che ha ambientato nella Colchide il mito degli Argonauti e del Vello d’oro e sui monti del Caucaso quello di Prometeo - e la conversione al Cristianesimo fanno della Georgia un mondo tutto da scoprire con profonde connessioni a Est e a Ovest. Una nazione-ponte sotto molti fronti: ruolo che potrebbe ancora svolgere.

© Riproduzione riservata