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Prima guida ai palazzi dell’Emirato

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Arte

Prima guida ai palazzi dell’Emirato

Centinaia di edifici d’autore e nessuna guida in grado di scoprirli o raccontarli. Accadeva in Kuwait fino alla pubblicazione di questo volume – Modern Architecture Kuwait 1949-1989 – che è il primo studio sistematico sull’architettura moderna dell’emirato, nato dalla curiosità di tre ricercatori: due portoghesi e l’italiano Roberto Fabbri. Pochi sanno infatti che il Kuwait non è solo un giacimento di petrolio ma anche una miniera di architettura tardo-modernista, progettata da figure come Alison e Peter Smithson, Georges Candilis, Jørn Utzon, Kenzo Tange, Félix Candela, Arne Jacobsen, TAC (lo studio di Walter Gropius), SOM, Arup, I.M Pei, Hassan Fathy, Marcel Breuer e molti altri, tra cui gli italiani Franco Albini, BBPR, Luigi Moretti, Pier Luigi Nervi, Ignazio Gardella.

Il libro, frutto di un vasto lavoro di ricerca, catalogazione e di una campagna fotografica condotta da Nelson Garrido, è diviso in quattro capitoli che ripercorrono – dopo un saggio introduttivo e una utile timeline – quarant’anni di architettura sul golfo. La golden age del Kuwait comincia intorno al 1949, quando il commercio dell’oro nero prende il largo e il ricavato viene subito reinvestito per costruire un paese moderno, all’epoca protettorato britannico. Non si andò per il sottile: la parte vecchia di Kuwait City, considerata brutta e sporca, fu sacrificata senza tanti indugi sull’altare della modernità, e dalla conseguente tabula rasa cominciarono a sorgere centinaia di edifici, primi esemplari di un bulimico processo edilizio che precede le realtà di Abu Dhabi o Dubai e da cui si distacca per molti elementi.

Dotato il paese delle necessarie infrastrutture, negli anni Sessanta si cominciò a costruire veramente, considerando l’architettura come un mezzo per dare identità visiva e sociale al «risveglio» dell’emirato. Si fecero concorsi, si realizzarono banche, uffici, residenze e strutture come le Kuwait Towers (1965-77), altissime torri per la distribuzione dell’acqua – bene prezioso a queste latitudini – divenute icona del paese e oggi in lista per la tutela dell’Unesco.

Verso la fine del decennio ci si accorge però che lo sviluppo urbano ha gravi difetti: gli edifici sono pezzi autonomi, manca un tessuto urbano che li metta in relazione. È il trionfo dell’architettura, ma il fallimento dell’urbanistica. Compresa la situazione, nel 1968 la città convoca – su indicazione di un comitato in cui spicca il nome di Albini – dei consulenti speciali: gli Smithsons, Reima e Raili Pietilä, Candilis e i milanesi BBPR. Inventeranno progetti molto articolati in cui convivono la scala umana e il gigantismo architettonico, il modello tradizionale fondato sullo spazio pubblico – della vecchia medina, ma anche europeo – e una pianificazione a misura di automobile. Purtroppo queste visioni, a tratti utopiche, non furono realizzate come previsto, nonostante alcune delle loro indicazioni si possano leggere tutt’oggi.

Le 150 schede del volume documentano poi le megastrutture degli anni Settanta – come Souq Al-Wataniya, che contiene negozi, parcheggi, uffici e in cima tante casette con patio e giardini, memoria della città che fu, ma con l’aria condizionata – e la forte speculazione degli anni Ottanta, fermata dalla crisi finanziaria del 1983 e pochi anni dopo dai carri armati di Saddam Hussein. Si capisce che i temi toccati sono molti: il ruolo dell’Occidente nella costruzione di una nuova identità araba; l’adeguamento tecnologico al clima del posto; la sperimentazione linguistica che richiama iconografia locale e International style; eccetera. Tra le tante questioni emergono anche la salvaguardia e il riuso compatibile di questo patrimonio edilizio, argomenti che nella regione cominciano ad essere affrontati solo ultimamente. Proprio questo volume – come pure l’attenzione data, nelle ultime Biennali di Venezia, all’architettura del Novecento nel mondo arabo – dimostra infatti la crescente consapevolezza del valore di interventi prima noti solo a pochi e oggi invece posti in una cornice sempre più definita, che collega progettisti, continenti e culture stimolando riflessioni di grande attualità.

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