Cultura

«Qual è stato il mio tempo?»

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«poesia d’oggi» ora è un libro

«Qual è stato il mio tempo?»

Anna Maria Carpi
Anna Maria Carpi

Fa una certa impressione, ed è forse un segno dei tempi, ricevere una e-mail che, senza commenti di alcun tipo, contiene i versi appena stilati da un poeta. «Lei fuma?» è il titolo («Le dispiace se non fumo?» era invece l’esilarante battuta di Achille Campanile, pronunciata in un vagone fumatori: ma questa è solo una divagazione). E il testo è un sapiente condensato di serissima ironia: «PALL MALL, oh non è vuoto, /una è rimasta, / pura, silente, / non pesa niente, / è bianco e oro, i colori del sacro. // Sul pacchetto c’è scritto il fumo uccide. / Intanto però placa / la sete di un altrove. // Scatta, guizza la fiamma, la regina del buio: / la bianca fra le dita / è ancora intatta, / poi viene a me, alle labbra, come un’ostia / assurda fiala di felicità».

Non so perché Anna Maria Carpi abbia mandato a me questi suoi versi, né se li ha mandati ad altri, forse a molti altri. Forse il sottotesto potrebbe essere stato: «le va di pubblicarla?». Certo che mi va, proprio perché trovo in questo gesto il senso della gratuità e del dono disinteressato, e anche il gusto di una piccola performance volta a far comprendere la potenzialità della poesia di irrompere nelle nostre vite. E la pubblico qui, in questa premessa, perché mi permette di spiegare subito il senso che abbiamo voluto dare, impostandola con Paolo Febbraro, alla rubrica «Poesia d’oggi»: quello di una poesia che è parte integrante della contemporaneità, che sa inserirsi con fare più o meno profondo e leggero nelle pieghe della nostra quotidianità. Profonda o leggera a seconda delle necessità espressive, ma anche antica e moderna al tempo stesso, perché capace di farci respirare una piena consonanza con i millenni di parole in versi che l’hanno preceduta.

Poesia, poeta, sono parole antiche. Riguardano il mestiere archetipico del fabbricare miti. Due concetti, poeta e poesia, che aprono alla vita, al suo nascere, al suo scaturire dal nulla. Poiein, secondo il pensiero greco, è il verbo che riconduce alla sfera semantica della produzione di qualcosa che appena prima non esisteva. Nel poiein è contenuto proprio il potere immenso e dell’immaginazione e della parola, laddove esse divengono capaci di rappresentare la vita stessa della natura e dell’uomo conferendole un’assoluta universalità. La poesia crea «mondi possibili», per dirla con le parole del filosofo Nelson Goodman, mondi artificiali in cui ciascuno di noi però può vivere e cercare un senso, individuale e collettivo. Ogni snodo fondamentale della nostra storia nazionale – dalla passata alla più recente, dalla Scuola Poetica Siciliana alla neoavanguardia – è stato commentato dal contrappunto di un poeta o di una corrente letteraria che ha saputo raccontarci la sua prospettiva sul mondo, il suo mondo. Ma allora la domanda è: che ne è della poesia italiana, oggi? Chi sono i poeti italiani contemporanei? Dove vivono e cosa hanno da dire? A queste domande rispondono le poesie inedite di autori italiani pubblicate nella rubrica «Poesia d’oggi» curata da Paolo Febbraro a partire dal febbraio 2013 fino al febbraio 2014, con l’obiettivo, che trova compimento in questo volume, di mostrare lo stato dell’arte, la direzione che sta prendendo il fare poetico italiano attuale: «In Italia» -commenta Febbraro nella sua Introduzione - «c’è una civiltà poetica, che ha il difetto di sottovalutare la propria esistenza. […] La buona o la eccellente poesia italiana contemporanea è semi-annegata nel grigio dell’incertezza sui valori, è poco letta dai critici letterari, raramente viene chiamata per nome e cognome». A differenza di quanto accade in altri paesi, come gli Usa e la Germania, ad esempio, o di quanto avvenne nel nostro territorio nazionale almeno fino a una quarantina di anni fa, in Italia oggi la poesia sembra avere perso mordente sociale, apparentemente non riesce a fare breccia nella dura cortina di una cultura che, soprattutto per quanto riguarda le nuove generazioni, s’è fatta vieppiù materialistica e duttile alle logiche di mercato; mentre, per quanto concerne le generazioni precedenti, pare che la tradizione accademica degli studi della grande poesia classica abbia finito per costituire un ostacolo più che un vantaggio, per via di quella che Harold Bloom chiama «l’angoscia dell’influenza».

Ebbene, questo volume sfata tali apparenti presupposti. I poeti ci sono. Sono molti e hanno molto da dire. Sono consapevoli della tradizione cui appartengono, ma anche fieri di far udire la propria voce unica e attuale. Dispongono di capacità di approfondimento, di sguardo critico, di una lingua riformata. Sono intellettuali e come tali hanno il dovere di aspirare a un ruolo “politico”, a proporre una forma di “resistenza” rispetto al flusso della storia: «Non credo nel solipsismo – continua Febbraro – : quando un poeta scrive è un ispirato, ma quando pubblica è un intellettuale. Mi viene in mente un parallelo con l’architettura: un edificio – anche se costruito per scopi privati – è sempre pubblico, perché è lì, nel tessuto urbano, accanto alle costruzioni preesistenti».

Nel pensare di dare voce ai poeti di oggi ci siamo un po’ ispirati ad Antonio Porta e alla sua famosa raccolta Poesia degli anni Settanta. Anche lì la produzione poetica era accompagnata da un breve ritratto e da un commento ai versi, nella consapevolezza che la varietà delle poetiche e degli stili rende necessario un sia pur minimo e non invadente apparato critico e informativo. Ciò ci consente oggi di ascoltare le voci dei poeti italiani, distinte e inconfondibili: ci consente finalmente di creare una mappa del fare poetico nazionale, e ci offre gli strumenti per riconoscere i singoli stili, le tradizioni di riferimento, per farci entrare dunque nei «mondi possibili» creati da questi versi. Perché più che mai oggi, nell’era dei social network e della connessione perenne alla rete, la poesia «fa parte del nostro modo di stare al mondo. Nessuno di noi, neppure il più sordo o pedestre, può liberarsi della metafora, nessuno può evitare di vivere immaginosamente».

Tra gli autori, alcuni sono conosciuti altri meno, ma tutti insieme disegnano un percorso cronologico importante: da Pier Luigi Bacchini, classe 1927, a Franco Loi, nato nel 1930, fino ai più giovani Carlo Carabba e Mariagiorgia Ulbar, rispettivamente del 1980 e del 1981. In ognuna di queste voci – di cui moltissime femminili, e questa è una novità importante rispetto alla tradizione letteraria italiana classica – si sente la novità del canto e insieme si ascolta l’eco della tradizione: da Leopardi a Montale, da Sbarbaro a Caproni, da Porta a Penna, da Bertolucci a Luzi e a Betocchi. In molti, è presente la consapevolezza del mistero della creazione poetica, quel “fingere”(dal latino, “dar forma alla creta”) la cui etimologia riconduce al mito di Pigmalione e alla creazione di Adamo, entrambe produzioni di figure vive: il poeta è un “fingitore”, per usare un’espressione di Pessoa, immagina mondi vivi. Per il poeta dialettale milanese Loi, ad esempio, il poetare è, aristotelicamente, un gioco in cui libertà e forma contribuiscono a imitare la vita stessa della natura, che evocano il potere divino di una mimesis e di una genesi continua: «Seri int i man d’un diu e i sò man / eren de pùlver, sass, d’aria e de giögh. (Ero nelle mani di un dio e le sue mani / erano di polvere, sassi, d’aria e di giochi)». Altri poeti italiani indagano i limiti stessi del poetare, l’ostacolo altissimo rappresentato dal conformismo culturale e linguistico della società moderna. Milo De Angelis lamenta la condizione della propria ispirazione prigioniera di un labirinto razionalista: «Sarai una sillaba senza luce, / non giungerai all’incanto, resterai / impigliato nelle stanze della tua logica». Luigi Socci con lucida ironia si prende gioco del luogo comune del sogno, così come viene presentato nella vulgata banalizzata dal sistema dei consumi: «Io ho un sogno / così almeno mi pare quando dormo / è che quando mi sveglio / me lo scordo». O ancora Carlo Carabba, rievocando la difficoltà del canto dei poeti della prima metà del Novecento, ammette: «a malapena scrivo». Altri autori ancora perlustrano la realtà circostante in maniera doviziosa, lasciando all’ironia o allo strapotere di sensi risvegliati la scoperta sbigottita di un’oggettività che si è fatta del tutto estranea al soggetto, di un mondo sovrappopolato da oggetti all’interno del quale gli individui perdono valore: è il «realismo terminale» di Guido Oldani, in versi come «mi hai dimenticato come un ombrello al bar»; oppure è l’agghiacciante presenza delle cose quotidiane rappresentate in una luce minacciosa nei versi di Andrea Inglese: «in questa poesia / […] si odono i passi delle persone / sull’asfalto / fin dentro casa anche nel sonno / le scodelle che cadono e rimbalzano / i vetri del bicchiere nel lavello / quando si frantuma».

Non manca il confronto critico con la vita contemporanea, il desiderio di adeguarsi a nuove strategie di sopravvivenza ma anche l’incapacità di rispondere alla domanda su chi siano gli uomini d’oggi. E così ritroviamo, in questa raccolta, la poesia densa di ironia di Anna Maria Carpi: «Era la mia una lingua inattuale? / Strano. Io piacevo / ai giovanissimi, ignoti mi scrivevano / con ke ki e x, da facebook, che a orecchio / è “facce buche” […] / che vi sembro? “mi piace” o “non mi piace più”? […] / Qual è stato il mio tempo?».

Queste che avete ascoltato sono le voci dei poeti italiani d’oggi, nuovi e antichi, attuali sempre per la loro autenticità di canto. Il mondo offertoci da ognuno di loro è vero e credibile non perché abbia la presunzione di aprirci a una verità assoluta, ma perché ci offre la possibilità di una vita esperibile nella lettura, grazie alla quale accresceremo la nostra conoscenza e la nostra personale esperienza del vivere.

L’io dei poeti – secondo la visione di Antonio Porta – «diventa il punto delle interazioni, anche linguistiche, in funzione di una nuova conoscenza. […] L’io è dunque il territorio delle mutazioni, il punto di pressione della storia». La poesia è conoscenza. Una forma particolarissima e insostituibile di conoscenza. È riconquistare la consapevolezza di questo fatto perché il poeta torni ad avere il ruolo sociale e politico che ha sempre avuto.

Anticipiamo la premessa all’antologia di Paolo Febbraro «Poesia d’oggi» (Elliot, Roma, pagg. 139, € 18.50 ) che raccoglie le poesie che dal febbraio 2013 al febbraio 2014 sono state pubblicate sulla Domenica nella rubrica «Poesia d’oggi»: 60 poesie di altrettanti autori italiani, che al momento della prima pubblicazione erano inedite e in parte lo sono ancora e che vogliono rappresentare uno “stato dei lavori”, una possibile mappa di quanto si viene scrivendo in versi nell’Italia di oggi.

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