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Silenzio, adesso si scatta

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Arte

Silenzio, adesso si scatta

Andrebbe tenuto in tasca come un taccuino magico, poche pagine ma potentissime per riconoscere quelle immagini che ancora oggi, nonostante l’oceano digitale nel quale viviamo, ci aiutino a “fare silenzio” e a guardare. Nasce da questa ricerca la necessaria riflessione di Gigliola Foschi, critica, docente di Storia della Fotografia presso l’Istituto Italiano di Fotografia di Milano e autrice del saggio Le fotografie del silenzio. Forme inquiete del vedere, edito da Mimesis nella collana Accademia del Silenzio. Se il silenzio è una delle qualità più preziose della fotografia, in grado di «strappare l’oggetto dal contesto ingombrante e assordante del mondo reale», spiega Jean Baudrillard, è pur vero che questo spazio composto e isolato nel quale entrare per uscirne diversi – più informati, più sensibili, più responsabili – quasi non esiste più. Da una parte per eccesso d’immagini, come denuncia Erik Kessels nell’istallazione 24HRS in Photos, diluvio di un milione di fotografie, caricate in ventiquattr’ore su Flickr, quindi stampate e abbandonate nella “discarica” del museo. Dall’altra per difetto d’immagini, perché le notizie, magari il genocidio in Ruanda, non sembrano interessanti ed è la denuncia di Alfredo Jaar, autore di Untiled (Newsweek) 1994, collezione delle copertine del settimanale americano dall’aprile all’agosto 1994, mute rispetto alla tragedia in corso, ricordata invece dall’artista in una puntuale cronistoria.

Tra questi eccessi di rumore e assenza colpevole, Gigliola Foschi ribadisce tuttavia con fermezza che la fotografia può ancora oggi interpretare il silenzio, e lo ribadisce quasi fosse un atto di dissidenza proponendo un percorso tra le opere più interessanti degli ultimi decenni. «Opere intrattabili», nella definizione del filosofo Jacques Rancière, perché capaci di far saltare i cliché per esempio del fotogiornalismo, come dimostra l’artista palestinese Taysir Batniji che fotografa le case bombardate di Gaza e le presenta in forma di annunci immobiliari. O come dichiara Ori Gersht, israeliano, che fa esplodere le classiche nature morte e le cristallizza nell’infiorescenza mortale delle schegge. Infine si torna a casa, in Italia, rintracciando quella fotografia che supera i confini della rappresentazione e diventa esercizio di silenzio, là dove la prova iniziatica è quella di essere dentro, di fare esperienza, o, lo ricorda Guido Guidi, «di vedere il paesaggio che guarda me». Ancora qualche nome? Eccoli, silenziosi, importanti, intensi, sono Giovanni Chiaramonte, Luca Campigotto, Paola De Pietri, Luigi Fresia, Massimiliano Gatti, Walter Niedermayr. Istruzioni per l’uso: prendetevi un’ora di tempo, quanto basta per leggere in silenzio questo piccolo grande saggio. Poi, davvero è un altro sguardo.

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