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Il protagonista del nuovo romanzo di Mario Desiati si chiama Martino Bux. Nato nel Salento da una famiglia di origine albanese, è stato scartato dal servizio militare e si è trasferito a Roma per studiare Lettere all’università. È cultore di giornali e di film pornografici, con i quali attiva il proprio universo di desideri e di sogni. Conosce quantità di attrici porno, di cui compone un dettagliatissimo catalogo di generi e sottogeneri, attrazioni e specialità. L’arrivo a Roma corrisponde all’idea di libertà e di sperimentazione del mondo.

Così comincia Candore. La storia si svolge tutta a Roma, di cui viene data una precisa mappatura geografica e ambientale: l’università, i quartieri periferici, i condomini fatiscenti, la stazione Termini e dintorni, i locali a luci rosse, i ristoranti di «spelapolli» del centro. Martino la percorre in autobus, pigiato tra migranti di ogni colore, lingua e nazionalità. Gli italiani sembrano quasi inesistenti e quando appaiono sono per lo più affaristi e voltagabbana.

Il corso universitario è presto liquidato dall’insuccesso di un azzardato esame sul confronto tra Petrolio di Pasolini e il cinema di Rocco Siffredi («convinto che ci fosse un disegno poetico dietro la sua filmografia»). Scena esemplare per ironia e realismo. Da qui inizia un girone di accidentata, maldestra e inarrestabile discesa verso gli abissi, per i quali Martino prova un seducente richiamo. Egli vi intravede luci di bellezza e di verità ignote altrove.

La storia di Martino è punteggiata di volti e corpi femminili, quelli degli schermi e quelli della realtà, in un prezioso gioco di citazioni cinematografiche e letterarie. La fantasia «stuzzicata» dalle donne dei film si infrange nel disincantato verismo delle donne reali. I nomi e le esperienze si susseguono: Fabiana, Luisa, Giorgia, Cinzia, Marta, Junko. La vita dello schermo offre chimere che l’esistenza dissolve. Tutto si consuma in spietati disinganni. Martino resta infine sempre solo e alimenta con tenacia isolamento e marginalità, preferendo le illusioni delle immagini al ruvido e imprescindibile contatto con la realtà. In lui verità e finzione si uniscono di continuo, anche nelle figure delle donne che incontra, materializzazione di porno attrici che fugano gli incanti.

Da un lato quindi un’incalzante dimensione onirica, che spesso non ha soluzione di continuità, come se tutto fosse un flusso ininterrotto di realtà, miraggi, sogni veri e propri. La vita di Martino è nelle immagini che coltiva con dedizione e in cui investe le proprie attese utopiche. Dall’altro uno scontro brusco e rovinoso con la realtà che lo porta a un abbrutimento crescente, fino a ridurlo alla devastata condizione di barbone, allo stato di «umanità imbestiata». Martino è un «mediocre» sconfitto dalla vita, un «vinto».

Il termine «mediocre» torna più volte nelle pagine di Candore e mi ha ricordato in particolare i personaggi di Flaiano, che ha dedicato specifica attenzione a questo “carattere”. Non si tratta di un giudizio morale: i «mediocri» siamo noi uomini «medi» della società di massa, quella descritta e stigmatizzata anche da Bianciardi nella Vita agra. Sono passati oltre cinquant’anni da questi modelli e sicuramente i mediocri di Desiati sono differenti da quelli di Flaiano e di Bianciardi. Tuttavia c’è tra loro una sorta di aria di famiglia, il senso di una radicale impotenza, con aggiornato involgarimento e recrudescenza dei fatti e dei toni.

In Candore il vinto è colui che può rinascere. Martino tocca il fondo di un mondo sempre più sgarbato, anche nella pornografia, segnata da un vitalismo «da caserma, violento, bestiale, oserei dire mortuario». A redimersi non sono però gli uomini, che affondano nelle proprie perversioni egoistiche e sessuali, ma le donne, che cercano e interpretano il riscatto. Esse sono di una vitalità solida e lucida, ingegnosa e mordace, in grado di reinventarsi. Gli uomini sono inetti e aggressivi, incapaci di cambiare; essi prendono le cose in modo unilaterale (e «nulla è peggio di chi non sa scherzare su di sé»), compresa la pornografia, e finiscono per soccombere malamente o scampare da meschini. Il destino di Martino sarà diverso, anche se soltanto per un attimo, e ancora una volta grazie alle proprie muse e «angeli accondiscendenti», ispiratrici di un inesauribile «granaio» di fiduciose e gozzaniane fantasticherie femminili.

Notevoli alcune affermazioni e punte aforistiche che scaturiscono in modo efficace e persuasivo dal tessuto del racconto e siglano passaggi importanti («la gentilezza è talmente rara che a volte la si scambia per amore»; «quella forma di stupore e libertà che solo certa trasgressione regala»; «il moralismo dei senza morale spesso è più feroce di quello dei bacchettoni»; «la specie peggiore, l’italiano che vende la donna e bacia la croce»; «si è sempre inconsapevoli della felicità»).

Il romanzo di Desiati è triste e insieme luminoso, coraggioso, poetico.

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