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Apre Frieze, una e trina

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Apre Frieze, una e trina

Installazione. Una delle opere installate nello Frieze Sculpture Park fino a gennaio: Diario (2016) di Mikayel Ohanjanyan. Marmo statuario, ferro, cavi d'acciaio inox.
Installazione. Una delle opere installate nello Frieze Sculpture Park fino a gennaio: Diario (2016) di Mikayel Ohanjanyan. Marmo statuario, ferro, cavi d'acciaio inox.

C’è un modo solo, per una fiera d’arte contemporanea in espansione di riuscire nell’allargamento senza rischiare l’afflosciamento: lavorare sul proprio status di piattaforma culturale. Nata “di nicchia” (con un numero limitato ed esclusivo di gallerie che trattano artisti viventi), ampliatasi cinque anni fa con la sorella Frieze Masters, che è dedicata ai maestri del passato ma ha curiosamente spostato dall’altro lato di Regent’s Park anche alcuni importanti dealer di arte contemporanea, per questa sua 14esima edizione Frieze sembra infatti aver riflettuto intensamente sulla propria identità, ribadendo anche il ruolo di Londra nella produzione di cultura contemporanea.

Mentre la rivista che le dà nome compie 25 anni, infatti, la doppia fiera deve (in teoria) fare i conti con l’effetto Brexit, sondando le connessioni delle geografie virtuali dell’arte con la geografia politica del mondo reale. Ecco allora che da giovedì 6 (mercoledì per i “vip”, che sono sempre di più) il gotha dell’arte internazionale si raduna nel parco londinese, con un programma di eventi e progetti che espandono gli orizzonti teorici e temporali della fiera.

Dentro Frieze London, la “gemella” contemporanea, ci sono 160 gallerie e una novità, la sezione «The Nineties» (che va ad aggiungersi a Focus e Live, dedicate agli emergenti e alla performance): è il momento dell’approfondimento “storico”, che oggi pare immancabile in ogni evento di mercato e punta sulle mostre, sugli artisti e sulle gallerie che negli anni Novanta hanno cambiato per sempre la scena dell’arte.

Tra i 119 stand della Main Section si vedranno progetti di “giganti” del contemporaneo come James Turrell, presente con un’installazione ambientale luminosa, e Philippe Parreno, con un misterioso lavoro scultoreo che si allaccia alla commissione realizzata per la Turbine Hall della Tate Modern (in apertura martedì 4 ottobre).

Grande enfasi è posta sulle presenze femminili, con artiste come Goshka Macuga, Latifa Echakch, Francis Upritchard, Penny Siopis, Channa Horwitz, autrici che arrivano dal Medio Oriente come Sophia Al Maria, Rana Begum, Monir Shahroudy Farmanfarmaian e Huda Lutfi, e le protagoniste di diverse generazioni d’arte femminista, Carolee Schneemann, Betty Tompkins, Portia Munson, Aurel Schmidt e Erin Riley. (Anche Frieze Masters ci tiene a sottolineare la presenza di opere importanti di Anni Albers, Paula Rego e Susan Rothenberg).

Nella sezione no-profit dei Frieze Projects, disseminati per la fiera, si incrociano letteratura e performance, teatro e gioco, tecnologia e sociologia: la scrittrice tedesca Sibylle Berg collabora con l’artista Claus Richter in un teatro di burattini; il messicano Martin Soto installa un tessuto surrealista fatto di calze da donna, che poi viene animato da attori; il compositore Samson Young invita alla fuga con una “passeggiata multimediale” (già prenotatissima), e persino uno dei bagni della fiera si trasforma in “total artwork” grazie a un intervento di Julie Verhoeven. Il vincitore del Frieze Artist Award, Yuri Pattison, impegnato nelle rilevazioni digitali dei comportamenti umani, costruirà un’opera-network che connetterà l’intera fiera.

A Frieze Masters partecipano invece 133 gallerie che presentano oggetti e opere d’arte dall’antichità al Novecento, 18 delle quali in collaborazione fra loro, accostando Espressionismo Astratto americano e capolavori italiani dal Gotico al Barocco, arte giapponese e buddhista, fotografie di Sigmar Polke, lavori degli anni Settanta e sculture che vengono dall’Africa e dall’Oceania.

«I curatori hanno un ruolo importante e quest’anno diamo il benvenuto a Tim Marlow, direttore dei programmi artistici della Royal Academy, che cura i Frieze Masters Talks, e a Toby Kamps della Menil Collection di Houston, che presenta la sua prima edizione di Spotlight. Vedremo gallerie che appartengono a campi diversi lavorare insieme a presentazioni inedite: la fiera continua a offrire nuovi modelli per guardare e collezionare l’arte», dice la direttrice di Frieze Victoria Siddall. Agli incontri intervengono artisti come Marlene Dumas, Philippe Parreno, Carrol Dunham, Cornelia Parker, e il direttore della National Gallery Gabriele Finaldi.

Ma è in mezzo tra le due fiere che si trova la porzione più spettacolare e più trans-generazionale della Frieze week, il Frieze Scupture Park curato da Claire Lilley, direttrice dello Yorkshire Sculpture Park, la quale ha messo insieme 20 grandi opere in una mostra all’aria aperta, che descrive così: «Si va dal contemplativo ed effimero al solido e monumentale, e la mostra include il primissimo lavoro concettuale del parco, un remake di un raro pezzo del 1969 di Ed Herring».

È in questo spazio naturale, che rimarrà installato e visitabile gratuitamente sino all’8 gennaio (e che si naviga ovviamente con l’app omonima), che il moderno, il pop e il contemporaneo si mescolano, con opere di Lynn Chadwick, Jean Dubuffet, Claes Oldenburg, Conrad Shawcross, Barry Flanagan, Zeng Fanzhi. Tra i lavori inediti, anche una installazione scultorea lunga sei metri di Mikayel Ohanjanyan, artista di origine armena stabilitosi in Italia sedici anni fa, che è stato tra i vincitori dell’ultima Biennale di Venezia.

L’altro evento simbolico della Frieze Week, che pare voler esorcizzare i timori post-Brexit, è il disvelamento dell’opera Really Good, realizzata da David Shrigley per il Fourth Plinth di Trafalgar Square: un lunghissimo pollice di bronzo alzato in segno di ottimismo. Sarà il sindaco di Londra Sadiq Khan a inaugurarla personalmente, con un discorso intitolato «London is open».

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