«I Cosattini? Mai sentiti nominare. Questo il tipico commento di studiosi e amici quando raccontavo loro l’argomento del mio nuovo libro». Inizia così la biografia di una famiglia di Udine narrata da Sandro Gerbi, che al racconto storico unisce l’affettuosa partecipazione di chi sfoglia un album di persone care. A cominciare dal maggior protagonista, Giovanni, nato nel 1878, che fu deputato socialista nel primo dopoguerra, amico di Giacomo Matteotti, sindaco di Udine dopo la Liberazione, membro dell’Assemblea costituente e senatore della Repubblica dal 1948 al 1953, un anno prima della morte.
Il padre Gerolamo, figlio di un magistrato friulano dell’impero asburgico, era stato un modesto magistrato del regno d’Italia, e con magro stipendio e cinque figli peregrinò per varie sedi prima di tornare a Udine come vicepresidente del tribunale. Della sua giovinezza Giovanni conservò «un ricordo penoso» per le «condizioni di penuria, di indigenza in cui la mia famiglia era allora costretta a vivere», come disse al Senato nel 1951 sollecitando migliori stipendi per i giudici.
Il 4 aprile 1904, un giornale locale descrisse i funerali di Gerolamo, svolti per volontà dell’estinto «prima dell’alba, senza preti, senza fiori, senza ceri, senza discorsi» ma fra il «compianto unanime», col feretro seguito dalla famiglia, gli amici e una rappresentanza del segretariato dell’ente per l’emigrazione e del circolo socialista. Erano, queste, le organizzazioni udinesi delle quali era animatore Giovanni, divenuto avvocato, giornalista e studioso dell’emigrazione friulana, che era stato l’argomento della sua tesi di laurea.
Fin da giovane, Giovanni si dedicò con passione alla tutela degli emigranti. Socialista, aderì alla corrente riformista di Filippo Turati. Fu schedato come sovversivo di «carattere piuttosto violento», e tuttavia descritto come «ben educato, istruito, intelligente e colto», con «un contegno corretto e rispettoso» verso le autorità, pur essendo «l’anima del Partito socialista di Udine e uno dei capi più influenti». Nel 1905 fu degradato da sottotenente, grado conseguito durante il servizio militare, a soldato semplice per avere scritto un articolo di protesta, in seguito alla morte di un soldato schiacciato da un cavallo, in cui denunciava «le “bramose canne” del militarismo» che «non si trovarono mai sazie».
Dal padre, Giovanni aveva ereditato un’intransigente laicità risorgimentale, che animò la sua militanza politica fino agli ultimi anni. Nel 1952, al Senato, come esponente del Partito socialdemocratico, votò contro un disegno di legge sul concorso dello Stato nella costruzione di nuove chiese, denunciando la minaccia che rappresentava per «la concezione laica dello Stato» la trasformazione del sentimento religioso, rispettato dai socialisti come «anelito del foro interno della coscienza di ciascuno», in uno «strumento di propaganda politica, avvilendolo ad espediente di lotta a favore di un partito nei confronti di altri partiti»: in tal modo, disse Cosattini, si mutavano «le raccolte mistiche nelle chiese in comizio», mentre sarebbe stato «interesse supremo della nostra stessa civiltà che la Chiesa eviti ogni ingerenza nella vita politica del Paese».
Nonostante il suo laicismo, nel 1912 Giovanni sposò con matrimonio religioso Lorenzina Cuoghi, cattolica devota, e accettò l’educazione cattolica per i suoi cinque figli, due maschi e tre femmine, nati fra il 1913 e il 1918. Poi Il Caso e Cupido vollero che, negli anni Trenta, le figlie sposassero in chiesa giovani di famiglie ebraiche antifasciste. Come antifascista era il loro genitore.
Eletto deputato del Partito socialista nel 1919, rieletto nel 1921, Giovanni protestò più volte contro la violenza fascista. Nel 1924 fu eletto ancora deputato nelle liste del Partito socialista unitario, sorto nell’ottobre 1922 con Giacomo Matteotti segretario. Fu a Giovanni che Matteotti, dopo aver pronunciato alla Camera il 30 maggio 1924 un duro discorso contro il governo Mussolini, disse: «Ora preparatevi a fare la mia commemorazione», ricevendo in risposta dal deputato udinese il consiglio: «Tienti riguardato; siamo in mano a una banda di delinquenti». Nei due anni successivi, mentre il fascismo gettava le fondamenta del regime totalitario, Giovanni fu minacciato di morte dai fascisti. Il 1° novembre 1926 a Udine, la sua famiglia assistette all’incendio della loro casa da parte degli squadristi. Negli anni del regime, Giovanni rimase a Udine, dove continuò la professione di avvocato, vivendo come altri antifascisti «isolati e chiusi nel nostro guscio», come li descrisse un antifascista torinese.
Nell’antifascismo crebbero i figli di Giovanni, protagonisti della seconda parte del libro di Gerbi. Militanti antifascisti furono i due maschi: Luigi, il primogenito, giurista e docente universitario, amico di Norberto Bobbio e di Piero Calamandrei, aderì al liberalsocialismo all’inizio degli anni Quaranta; Alberto, avvocato, nel 1942 aderì al Partito d’azione e divenne partigiano. Luigi, catturato dalle SS nel febbraio del 1943, fu deportato in Germania, dove morì nell’aprile 1945. Alberto combatté nella Resistenza, fu segretario particolare di Ferruccio Parri presidente del Consiglio dal giugno al novembre del 1945, ma nella nuova Italia repubblicana lasciò la politica e preferì l’impegno civile, accanto alla professione forense nello studio paterno.
In uno degli ultimi interventi al Senato, il 28 gennaio 1953, Giovanni Cosattini deplorò l’acquisto di regali, finanziato dal comune di Udine, per le nozze della figlia del prefetto. Richiamandosi «a quella severità del costume che dobbiamo pretendere proprio da chi ha l’onore di rappresentare lo Stato in una provincia», il senatore sollecitò il governo a indagare, perché «in nessun caso può ammettersi che i denari dei contribuenti possano essere destinati a fare questi presenti di natura feudale».
© RIPRODUZIONE RISERVATA
Sandro Gerbi, I Cosattini. Una famiglia antifascista di Udine , Hoepli, Milano, pagg. 288, € 18