Cultura

Garbo e risate senza parole

  • Abbonati
  • Accedi
PORDENONE

Garbo e risate senza parole

Qui anche Fantozzi cambierebbe idea. Alle “Giornate del cinema muto” di Pordenone, il più vessato ragioniere dell’universo riderebbe e si commuoverebbe. Di sicuro non si annoierebbe. Perché non di sole Corazzate Potemkin è fatto il muto... E lo dimostrano ogni anno di più le “gloriose Giornate”, giunte all’edizione numero 35, la prima diretta dal critico newyorchese Jay Weissberg. Le serate di apertura e chiusura ne sono state un esempio lampante. La Garbo, innanzi tutto. Si pensa di sapere ogni cosa di lei, si dà per scontato che sia la “Divina”. Poi, quando appare in The mysterious lady (1928, regia di Fred Niblo) senti che in sala succede qualcosa. Gli addetti ai lavori e lo spettatore occasionale, il cinefilo più accanito e la persona che per la prima volta assiste alla proiezione di un film muto, insieme scoprono che cosa vuol dire l’emozione vera, il fremito da grande schermo che ha fatto la fortuna di questa forma d’arte. Una bellezza irraggiungibile, un fascino senza tempo, una femminilità prorompente. Ecco, il muto, soprattutto quello americano degli anni 20, era questo: forza ipnotica, scioltezza di racconto, emozioni continue, ottovolante di passioni.

Garbo è tutto ciò, con un qualcosa in più. L’esotismo della semidea venuta dall’Europa del Nord, il ghiaccio apparente e la passione pronta a risvegliarsi. Un sogno, nient’altro che un sogno. Un dileguarsi della realtà, un contratto ferreo stipulato con lo spettatore. Tu paghi un modesto biglietto, io ti sradico per due ore dalla realtà banale, oppressiva, ossessiva. Oppio, certo, ma consapevole. Come nel fantasmagorico film di chiusura ieri sera, Il ladro di Bagdad (1924, Raoul Walsh). Qui a occupare tutta la scena c’è l’“uomo molla” Douglas Fairbanks, anche lui belo come un dio, vincitore della forza di gravità che trattiene a terra noi poveri, comuni mortali. E ci sono le favolose scenografie di William Cameron Menzies, personaggio chiave del cinema americano d’oro, al quale il festival ha dedicato un’apposita, ricca sezione.

E in mezzo? Tra Greta e Douglas, l’infinita serie di restauri e riscoperte, commedie e drammi, documenti d’epoca e comiche sfrenate. Spazio per gli intenditori, ovviamente, che si ritrovano come ogni anno da tutto il mondo a Pordenone per scambiarsi dati e opinioni sulle ultime, miracolose riapparizioni. Ma spazio anche, e tanto, per chi è alla ricerca di pure emozioni, di voci lontane che per un attimo riprendono la consistenza della realtà. La Rivoluzione russa, presente in diversi film, e la Grande guerra, la cui rievocazione da queste parti non può mai mancare. Un film sopra tutti, con la speranza che sia presto possibile vederlo in dvd (o su Youtube): il britannico The guns of Loos – I cannoni di Loos, diretto nel 1928 da Sinclair Hill. Nulla da invidiare allo Spielbeg di War Horse. Una ricostruzione formidabile della battaglia di Loos del 1915, una delle tante carneficine inutili della Prima guerra mondiale. Sfrenate corse di cavalli, realismo impressionante delle scene di trincea, tra gas asfissianti e granate che non lasciano scampo. Il conflitto, nel ’28, era finito da soli 10 anni, il suo ricordo vivissimo. Nelle sale le rievocazioni si susseguivano, e questo ne è un esempio quasi irraggiungibile. Poi, per fare davvero felice il Fantozzi che alberga in ciascuno di noi, ancora una commedia. The garden of Eden (1928, Lewis Milestone), così leggera che più leggera non si può. Una donna sbarazzina, la voglia di sfondare nel mondo dello spettacolo, una serie di equivoci, giochi d’amore e seduzione a Montecarlo. Una volta si diceva evasione, e la si criticava arcignamente. Ora la si capisce e la si gusta per quello che davvero è: puro cinema, vero spettacolo. E Fantozzi, finalmente disteso e sereno, applaude convinto.

© Riproduzione riservata