Cultura

Metafore per la verità

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MARY HESSE (1924-2016)

Metafore per la verità

Paesaggio filosofico. John Constable,  Branch Hill Pond.1825, Tate, Londra
Paesaggio filosofico. John Constable, Branch Hill Pond.1825, Tate, Londra

Avevo conosciuto e frequentato Mary Hesse a Cambridge, al Wolfson College e allo Whipple, alla fine degli anni ’80, insieme a Nick Jardine, uno dei suoi più brillanti allievi. Proseguii con lei una collaborazione invitandola anche a Firenze (fu quella una delle sue rare visite fuori d’Inghilterra). Due anni fa volli festeggiare il suo novantesimo compleanno dedicandole un Focus sulla rivista Philosophical Inquiries (III, 1-2015). Il tema che scegliemmo con il curatore, il biologo e storico della scienza Jiitse van der Meer, fu la metafora, cui Mary Hesse aveva dedicato vari saggi e un libro seminale nel ’64 (Modelli e metafore nella scienza). Le risposte al call for papers furono inaspettatamente numerose e ci pervennero da tutte le latitudini.

Eppure Mary Hesse, studiosa già di per sé schiva, da tempo era fuori dal giro accademico, e dall’86, anno della sua ultima pubblicazione condivisa con il neuroscienziato Michael Arbib, La costruzione della realtà, sembrava essersi eclissata da quel dibattito filosofico e scientifico cui aveva dato per anni contributi di straordinaria originalità e profondità. Il perché lo seppi da una sua lettera in risposta a un mio invito a partecipare alla Festschrift per i settant’anni di Paolo Rossi, alla quale, con gentilezza e con rincrescimento, mi rispose di no: non si riteneva all’altezza, perché ormai non si occupava più di quei grandi temi della storia e della filosofia della scienza che una volta l’avevano avvicinata a Rossi e si occupava, lo scrisse quasi con pudore, di «philosophy of landscape» e di «philosophy of gardening» (avesse saputo quanto anche quei suoi interessi erano pionieristici!).

Son venuto ora a conoscenza del fatto che si era dedicata a quello studio, nonostante la non più giovane età, da umile scolara, frequentando i corsi alla Madingley Hall di Cambridge, e compiendo così un itinerario di conoscenza che, dalla matematica, alla fisica, alla biologia, all’archeologia, alla sociologia, e infine alla botanica, ha fatto di lei una delle più autorevoli voci nel dibattito teorico e metodologico sui rapporti tra scienze naturali e scienze umane.

Mary Hesse è una figura simbolo nella storia della cultura del secondo Novecento. Ha insegnato a fare storia-e-filosofia-della-scienza (i trattini stanno a indicare l’esigenza di un metodo che compenetri sempre le due diverse competenze); ha gettato ponti teorici tra le tradizioni analitica e continentale (sarebbe da tradurre, ancora fresco di idee, il suo Revolutions and Reconstructions dell’80, che ha ispirato un importante confronto anche con Rorty e Habermas); ha inaugurato, nell’ambito di una visione postpositivista della scienza, un interesse per la conoscenza che non fosse disgiunto da un interesse per la cognizione; ha dato contributi fondamentali al tema filosofico-scientifico del rapporto tra teoria e osservazione; ha trattato con raro equilibrio problemi teologici accanto ai canonici problemi della filosofia del linguaggio e della gnoseologia; ha saputo essere (come ha scritto in un curioso saggio) «postmoderna senza essere femminista» e ha saputo essere antidogmatica senza essere relativista. Alla sua duratura e attualissima lezione manca solo il riconoscimento in lavori meno sporadici e parziali di quelli comparsi finora su di lei.

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