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Quel che lo Stato non dice

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Quel che lo Stato non dice

Strage di ustica.  Il giornalista Claudio Gatti grazie al Foia americano non ha avuto difficoltà a consultare i documenti sulla strage di Ustica (nella foto,  la carcassa dell’aereo)
Strage di ustica.  Il giornalista Claudio Gatti grazie al Foia americano non ha avuto difficoltà a consultare i documenti sulla strage di Ustica (nella foto, la carcassa dell’aereo)

Immaginate di avere pagato i 2,50 euro di questa copia del «Sole 24 Ore» ma di non poterla leggere. E magari anche che altri, invece, possano e per questo vi raccontino, quando ne hanno voglia, cosa c’è scritto. Dovreste fidarvi ciecamente o decidere a priori che mentono. Ma potrebbero anche decidere di non dirvi nulla e senza per questo dovervi alcuna spiegazione. Per fortuna è solo un’ipotesi nel caso di questo giornale. Eppure tutto ciò non è molto diverso dal rapporto che, per più di centocinquant’anni, gli italiani hanno avuto con governi e pubbliche amministrazioni.
Nonostante la regolare riscossione delle tasse, infatti, fatte salve rare eccezioni, non è stato riconosciuto e garantito il diritto del cittadino di poter controllare cosa facevano lo Stato e gli enti locali. E ancora oggi, le storie che, insieme a Ernesto Belisario, avvocato ed esperto di accesso all’informazione, abbiamo raccolto in Silenzi di Stato, dimostrano che in Italia la trasparenza è sulla bocca di tutti, soprattutto in campagna elettorale, ma è quotidianamente calpestata. Sono le storie di chi come l’associazione Cittadinanzattiva ha dovuto impugnare il decreto Monti per la Trasparenza e portare davanti al Tar il Ministero dell’Istruzione per conoscere anche solo parzialmente lo stato (pericolante) delle scuole italiane, di cittadini come Angelo Manzoni, che ha lottato fin sul letto di morte per dimostrare di essere stato ucciso da un mesotelioma causato dall’amianto respirato sul luogo di lavoro, di insegnanti in cerca di una cattedra che chiedono di sapere se chi li scavalcati aveva i titoli giusti, ma anche di stranieri che, pur avendo il permesso di soggiorno e lavorando regolarmente, preferiscono non esercitare il proprio diritto di sapere e lasciarsi relegare a cittadini di serie B, perché capiscono che chiedere trasparenza non li mette in buona luce con le autorità. Ma sono anche le storie di colleghi come Claudio Gatti che, sperimentati i pregi del Foia statunitense nell’indagare su Ustica, scoprono che le nuove leggi italiane sulla desecretazione degli archivi sono molto diverse.

Le vicende raccontate in Silenzi di Stato spesso lasciano l’amaro in bocca, ma dimostrano perché la trasparenza non è un adempimento amministrativo, ma per una democrazia è il secondo diritto più importante dopo quello al voto. Eppure siamo in un Paese dove la trasparenza spesso ferisce chi la pratica. Ne è l’ultimo esempio la richiesta di condanna a tre anni per Ignazio Marino nata dalla sua decisione di pubblicare online gli scontrini delle proprie spese. Un epilogo paradossale e pericoloso perché – come mostriamo in Silenzi di Stato – nessuno dei suoi colleghi sindaci è mai stato così dettagliato e sicuramente ora allontanerà qualsiasi tentazione.

Nonostante il diritto alla trasparenza sia nato proprio 250 anni fa nella Svezia delle Repubbliche anseatiche e negli Usa Obama ne abbia fatto una delle sue bandiere più belle, lasciando all’Unione una riforma del Freedom of information Act senza precedenti nei suoi 50 anni di storia, in Italia siamo solo agli inizi. Quasi un quarto di secolo dopo Mani pulite, siamo ancora alle prese con un livello di corruzione tra i più alti d’Europa e i giornalisti si vedono addirittura contestato il proprio ruolo quando chiedono di usare le esistenti leggi sulla trasparenza nell’interesse pubblico. Lo ha scritto, nero su bianco, il Consiglio di Stato con la sentenza dello scorso 12 agosto che rispondeva alla mia richiesta di accedere a 13 contratti di derivati sul debito pubblico stipulati per decine di miliardi di euro dal Ministero delle Finanze con Banca Imi S.p.A., Bank Of America, Barclays Bank PLC, BNP Paribas, Citibank N.A.-London, Credit Suisse International., Deutsche Bank AG, Dexia Crediop S.p.A., FMS Wertmanagement Anstalt Des, Goldman Sachs International, HSBC Bank PLC, ING Bank N.V., JP Morgan Securities PLC., Morgan Stanley and Co.Int.Plc, Nomura International PLC, Societe Generale, The Royal Bank of Scotland PLC, UBS Limited e Unicredit Bank AG. Documenti di incontestabile interesse pubblico visto che l’Italia ha il triste primato di perdite per derivati di Stato nell’Eurozona (più di 6,75 miliardi di euro di perdite effettive nel solo 2015). Eppure, secondo la quarta sezione giurisdizionale del Consiglio di Stato presieduta dall’ex ministro della Funzione pubblica nel governo Monti, Filippo Patroni Griffi, il diritto di cronaca non è una ragione sufficiente per voler accedere alle informazioni e quindi il giornalista non sembra essere portatore di un interesse pubblico a conoscere. Una sentenza che si scontra non solo con sentenze precedenti dello stesso Consiglio di Stato, ma anche con la normativa europea che viene rapidamente dribblata.

Siamo dunque un Paese senza speranze di diventare più trasparente? Forse no. Dalla scorsa primavera l’Italia ha una nuova legge sull’accesso alle informazioni che, almeno nei suoi principi fondamentali, è ispirata ai migliori Freedom of Information Acts. Di sicuro è un testo molto lontano da quello proposto dalla campagna Foia4Italy iniziata nel 2014 e resta ancora molto da fare per renderlo davvero una buona legge. In primis, un buon lavoro da parte di Anac che nelle prossime settimane dovrà stilare le linee guida per interpretare il nuovo provvedimento è essenziale. Tuttavia, la storia degli ultimi cinquant’anni ci mostra che il cammino verso la trasparenza non è quasi mai lineare e anche i leader più progressisti possono cadere nella tentazione di metterle un freno se coinvolti in prima persona. Per questo, se c’è una lezione che ci piacerebbe il lettore tenesse a mente leggendo Silenzi di Stato, è che, come ripete spesso il regista Michael Moore: «La democrazia non è uno sport da spettatori». Le dieci storie che raccontiamo ne sono la dimostrazione e speriamo diventino un esempio che molti altri vorranno seguire.

Questo testo è stato scritto da Guido Romeo, autore con Ernesto Belisario
di «Silenzi di Stato, storie di trasparenza negata e di cittadini che non si arrendono» (prefazione di Gian Antonio Stella)

edito da Chiarelettere, Milano,
pagg. 166, € 14 in questi giorni in libreria

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