Cultura

La democrazia secondo Kelsen

  • Abbonati
  • Accedi
classici

La democrazia secondo Kelsen

Con i classici capita sempre così: più passa il tempo e meno vien voglia di carezzarli con parole di lodi. Carezze, sì, ma contropelo e con le dita contratte. E questo, si capisce, non per il gusto plebeo di abbassarne la grandezza, ma con il desiderio pulito di apprezzarla meglio. Ecco: per apprezzarlo, per finire di dare ragione alle sue molteplici ragioni, Luigi Ferrajoli ha pensato che bisognasse cominciare col dare un po’ torto ad Hans Kelsen, di cui ha denunciato dieci aporie. Le prime otto accovacciate tra le pieghe della sua dottrina giuridica. Le ultime due, invece, incistate nella teoria della democrazia, dove il discorso prende un altro andare, più semplice, più diretto, che anche chi non è giurisperito segue di buona voglia. Così è, per esempio, quando Ferrajoli denuncia la «contraddizione tra la difesa della nozione solamente formale di democrazia e, insieme, il riconoscimento di condizioni minime» che però sono sostanziali. Forma, sostanza: cosa significa?

Per Kelsen, il sistema democratico si compendia in una serie di procedure formali, di regole cioè che stabiliscono come le decisioni collettive debbano essere adottate e chi deve emanarle (la maggioranza parlamentare nel gioco dialettico con le minoranze). Chi e come, dunque. Mai anche anche il “che cosa”. Ossia mai che queste regole si spingano a prevedere anche il contenuto delle leggi. Perciò quella di Kelsen è una democrazia formale; è formale perché indifferente ai contenuti, tutti giudicati sussumibili nelle forme della democrazia. Tutti. Nessuno escluso. Sicchè «un sistema democratico – sono parole sue – può essere uno Stato liberal-capitalistico, socialista o anche totalitario». Intendiamo? «Anche totalitario». Tanto poco la sostanza economica influisce sulla vita democratica (strano che questo saggio - sensibilissima conchiglia dove si registrano le più piccole dissonanze - non raccolga poi le vibrazioni di una stonatura così grossa. Mah!). Allo stesso modo, sulla democrazia «pura» non incidono gli ideali politici, compresi quelli promossi dalla tradizione liberale e da Kelsen tenuti in penitenza come elementi di «importanza secondaria». Secondaria l’importanza del liberalismo? Non diremmo proprio. Non lo diremo noi, ma inopinatamente non lo dice nemmeno Kelsen il quale quando si fa sotto alla regola della maggioranza, ecco che all’improvviso scarta sostenendo (giustamente) che in democrazia «non è lecito identificare il principio della maggioranza... con la dittatura sulla minoranza» che invece deve essere scrupolosamente salvaguardata. D’accordo, ma salvaguardata da cosa? «La protezione della minoranza – risponde fulmineo Kelsen – è la funzione essenziale delle libertà fondamentali». Come se questa fosse una verità pacifica. E invece no, non lo è. O per lo meno non dovrebbe esserlo per coloro che aderiscono alla visione formale della democrazia.

Pensiamoci un attimo: se la democrazia è una forma, e una forma che è indipendente da qualsivoglia contenuto, ne deriva, a rigore, che essa dovrebbe poter prescindere anche dai diritti di libertà. Tali diritti, infatti, sono retaggio dell’idea liberale che per Kelsen è una, ma soltanto una, delle tante ideologie che danno sostanza alle procedure democratiche. Per cui, ancora una sua citazione, «anche se la libertà individuale fosse annientata e l’ideale liberale negato, la democrazia sarebbe ancora possibile». «Ancora possibile»? E come? Non si è appena stabilito che la democrazia riposa sul congegno maggioritario? E che questo congegno funziona perché (e finchè) protegge le minoranze? E se è vero che tale protezione viene assicurata dai diritti di libertà, ossia da un particolare contenuto delle norme giuridiche, non ne viene la necessità di congiungere le forme della democrazia con la sostanza delle regole liberali? E una volta commiste le forme con la sostanza, come la mettiamo con l’iniziale formalismo? La verità è che non la mettiamo affatto perché almeno su questo punto il pensiero di Kelsen rompe le giunture della concordanza e si svolge per stridori e per fratture. Ferrajoli direbbe per aporie.

Luigi Ferrajoli, La logica del diritto. Dieci aporie nell’opera di Hans Kelsen, Laterza, Roma-Bari, pagg. 266, € 30

© Riproduzione riservata