Cultura

Visione cosmica e tragica del ludus

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Fabrizio Gifuni e il «concerto per amleto»

Visione cosmica e tragica del ludus

Fabrizio Gifuni (LaPresse)
Fabrizio Gifuni (LaPresse)


L’Istituzione Sinfonica Abruzzese è un’agonista della cultura e dello spirito civico. Sa resistere alle sventure naturali e alla cinica incuria (per non dire del dispregio, del dileggio) degli ultimi quattro governi nazionali e di altri soggetti strapotenti e arroganti (la Chiesa, il “mercato”…) verso la cultura alta e in particolare verso la musica forte. La rassegna “Le vie dei festival” è a sua volta una rara opera di coordinamento il cui fine è proporre al teatro, alla musica, al teatro musicale, la ricerca dei significati: un obiettivo in cui la risposta del pubblico sia commisurata ai significati e all’energia da essi prodotta. Il fine di cui parliamo è stato raggiunto, con una pienezza che rarissimamente si compie, dalla collaborazione alla pari tra i due enti e tra i loro rispettivi direttori artistici, Luisa Prayer e Natalia Di Iorio.
Alludiamo, naturalmente, a ciò che abbiamo veduto e udito la sera di sabato 8 ottobre a Roma: al Concerto per Amleto presentato in prima nazionale al Parco della Musica (in Sala Petrassi). Su Fabrizio Gifuni, autore della drammaturgia e attore unico, leggiamo da anni un giudizio concorde: «Immenso». Da quando lo vediamo e udiamo sulla scena, dal suo Goldoni e dal suo Shakespeare di vent’anni fa, attraverso la traumatizzante visitazione di Pasolini e quella tremendamente rivelatrice di Gadda, nel vivo del suo meraviglioso Piccolo principe insieme con la prodigiosa Sonia Bergamasco (concedeteci l’intemperanza dell'aggettivazione, visto che altre volte siamo intemperanti nelle espressioni di raccapriccio o di pena!), fino al recente Omaggio ad Amleto, non possiamo se non radicarci in quel giudizio e nella felicità di quelle esperienze di arte somma, che sono itinerari attraverso l’eone occidentale. Al di là dei momenti da brivido (il dialogo tra Amleto e la regina, «essere o non essere», «il resto è silenzio»), non dimenticheremo, da adoratori del dio Eraclito quali siamo, l’esordio scelto da Gifuni: il frammento 52 Diels-Kranz, «il tempo è un bimbo che gioca con le tessere di una scacchiera: di un bimbo è il regno». Anche grazie a questa visione cosmica e tragica del ludus, il Concerto per Amleto dell’8 ottobre ha destato nei fortunati presenti una sensazione condivisa (l’abbiamo avvertita): che la grandezza attoriale dell’artista di cui parliamo non sia una “applicazione” o una “conseguenza” di una strenua ricerca dei significati, ma sia, sulla scena, ogni volta, il rinnovarsi in atto della loro scoperta. Come? Quisquilia? Nostra inutile “disquisizione”? No: differenza decisiva, e anzi osiamo dire che è forse questo uno fra i segreti dell’arte di Gifuni.
L’altro grande protagonista della serata è stato Rino Marrone, il musicista di prima grandezza che più volte, per anni, abbiamo lodato su queste pagine. Marrone, che ha collaborato strettamente con Gifuni nella sceneggiatura della drammaturgia, ha diretto una splendida Orchestra Sinfonica Abruzzese, con sua e nostra emozione, in una scelta da due partiture di Dmitrij Dmitrevič Šostakovič (1906-1975): dalle musiche di scena op. 32 per Amleto (1932) di Nikolaj Pavlovič Akimov (1901-1968), e dalle musiche op. 116 per il film Amleto (1964) di Grigorij Michajlovič Kozincev (1905-1973).
Fabrizio Gifuni, Rino Marrone, Concerto per Amleto, da Shakespeare e da Šostakovič, Roma, Parco della Musica, Sala Petrassi, 8 ottobre 2016.

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