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Ogni cosa è concatenata

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la visita del dalai lama

Ogni cosa è concatenata

«Svegliato»  Il Dalai Lama
«Svegliato»  Il Dalai Lama

Non è forse troppo noto, ma per i suoi primi seguaci e per tutta la tradizione buddhista il principe Siddhartha è divenuto il Buddha, lo “Svegliato”, l’Illuminato precisamente per avere visto l’assenza di realtà propria, di realtà stabile, in ogni fenomeno e l’“interdipendenza” dei fenomeni. Questa conoscenza è stata poi indagata, articolata, sperimentata nel corso dei millenni e si presenta oggi come una convinzione forte, duttile, altamente benefica. Non stupisce allora che Sua Santità il Dalai Lama vi dedichi un’intera mattinata (quella di venerdì 21 ottobre) dell’ammaestramento che offrirà a Milano al termine della prossima settimana.

Di che cosa si tratta? Come è apparsa al Buddha la verità delle cose? Ossia, com’è fatta per lui la manifestazione? Ogni fenomeno è generato da fattori di esistenza che si sollecitano a vicenda provocando le parvenze istantanee che costituiscono l’intero universo percepibile. Questi fattori sono simili – per intenderci – agli atomi di Democrito o di Lucrezio, ma se ne distinguono per una differenza radicale: gli atomi sono reali, nel senso pieno del termine, cioè metafisicamente; esistono autonomamente, indipendentemente dal combinarsi, disaggregarsi, essere o meno percepiti. I fattori di esistenza no! Sono appunto fattori, impulsi, che generano la manifestazione solo reciprocamente sollecitandosi per un istante. Ad esempio: in questo momento, i fattori di esistenza del testo sul giornale che state leggendo, combinandosi con quelli della facoltà visiva di ciascuno di voi, generano il fenomeno della lettura. Una infinita serie di relazioni identiche a questa genera la manifestazione intera, non solo sul piano fisico, ma anche su quelli psichico e mentale.

Che cosa ne consegue? Il numero, la velocità e la frequenza delle mutue sollecitazioni sui vari piani è tale da provocare l’illusione di una realtà sostanziale che si manifesta e di un soggetto che la conosce. Ciascuno di voi conclude (o presuppone) istintivamente: io (soggetto conoscente) vedo e capisco l’articolo de «Il Sole» (oggetto conosciuto) che sta nelle mie mani, o appoggiato su un tavolino in questa stanza, o in giardino (mondo esistente in sé). La conclusione, almeno agli occhi del Buddha, è assolutamente illegittima: nulla esiste sostanzialmente. Per tornare all’esempio: non esiste di per sé il testo dell’articolo, non esistono coloro che lo leggono, solo si manifesta ora, qui, il fenomeno della visione (lettura). In altre parole, la successione istantanea e incessante di questi abbinamenti di fattori di esistenza, un po’ come per le singole immagini distaccate di un fumetto, scorre con tale velocità da darci l’illusione di un soggetto stabile, ciascuno di noi, e di un mondo stabile che possono talora subire dei mutamenti. L’intera manifestazione, e ogni suo aspetto, è invece per il Buddha istantanea e impermanente, quindi in ogni momento mutevole, come ricorda un testo più tardo con immagini suggestive: «Proprio come nella vasta sfera dell’etere che è puro vuoto, le stelle, le tenebre, la luce e il miraggio, la rugiada, la schiuma, i lampi e le nubi, emergono, divengono visibili e poi svaniscono come le sembianze di un sogno così si devono considerare tutte le cose dotate di una forma individuale». Le forme individuali sono infatti “vuote” di sostanza propria: è quello che i filosofi del “Grande Veicolo” chiamano “vacuità”; le cose non sono irreali, ma non hanno, nessuna, un nucleo stabile, identico a se stesso, eterno.

L’incessante movimento che genera la manifestazione è autonomo e impersonale. In esso ogni fenomeno, apparentemente semplice come una foglia che cade dal ramo, o invece complesso come il momento di una relazione interpersonale o un ecosistema in una circostanza data, non esiste mai di per sé, ma risulta soltanto, istante per istante, dall’aggregazione di fattori che, esaminando a fondo il processo, coinvolgono l’universo intero. In altre parole, tutte le cose sono prive di esistenza intrinseca e la loro manifestazione si fonda su una continua serie di relazioni con altre; l’apparire di una determina (o meglio sollecita) necessariamente l’apparire di un’altra in una rete di sequenze causali che dà le vertigini: la consapevolezza di questa catena causale, dell’“interdipendenza”, costituisce per la tradizione buddhista la vittoria sull’ignoranza, il “risveglio”.

Per gli esseri senzienti, e gli esseri umani in particolare, le conseguenze di questa realtà delle cose sono incalcolabili, soprattutto sul piano etico; a questo tema appunto Sua Santità dedica da qualche anno la sua riflessione fervida e distaccata a un tempo, come pure la sua testimonianza di vita, e dedicherà a Milano la lezione conclusiva di sabato 22 nel pomeriggio. Se tutti gli esseri sono legati gli uni agli altri, e al mondo naturale, un comportamento incentrato su di sé è completamente illogico; anche perché nella rete infinita dell’interdipendenza nulla va perso: non solo un’azione, ma anche un pensiero o un’intenzione malevola non si esaurisce, non rimane per niente senza effetti, ma provocherà conseguenze nocive, magari lontanissime da chi ha innescato la catena negativa. Vale fortunatamente, e nella stessa misura, o forse in misura superiore, l’opposto: anche l’atto, l’intenzione, il pensiero improntato per esempio alla benevolenza o alla gratitudine, sono necessariamente fattori di conseguenze positive. Questa consapevolezza è il fondamento dell’altruismo, della compassione, dell’amicizia spirituale, dell’amore, sentimenti preziosi e forieri, innanzi tutto per chi li coltiva, di serenità, di pace e, come dichiara il Dalai Lama con il titolo stesso della sua lezione, di “autentica felicità”.

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