Per quanto sia in un sotterraneo, il Museo Salvatore Ferragamo di Firenze abbaglia più volte i visitatori, in questa mostra intitolata «Tra arte e moda» (fino al 7 aprile 2017: cosa aspettate ad andarci?) e curata benissimo da Stefania Ricci. Lo fa con una serie di pezzi che risolvono definitivamente (ma io non avevo dubbi), la questione che viene posta all’inizio del percorso e dell’ottimo catalogo, edito da Mandragora: «La moda è arte?». Ma certo che lo è! Lo è come mille altre forme del “fare” umano che attingono al sublime, al ben fatto, all’eccezionale, al meraviglioso: non c’è bisogno alcuno di confinare l’arte solo a una tela dipinta, a una scultura, a una poesia, a una sinfonia: no, l’arte è molto più estensiva di tutto ciò e sta in ambiti i più disparati. È questione vecchia, del resto, ma, per quanto riguarda la moda, gli abiti, basta avere sotto gli occhi una tunica Delphos di Mariano Fortuny (1907; qui ce ne sono due) per non capire il senso stesso della domanda. È autoevidente: quel leggero raso di seta, plissettato con un sistema che solo Fortuny conosceva e brevettò, colori cangianti, da indossare senza nulla sotto (solo l’abito e il corpo della donna, due capolavori che si incontrano), senza cuciture e chiuso con le perle di vetro di Murano... O il fantastico abito che Elsa Schiaparelli realizzò con la complicità di Dalì: organza di seta chiara, e, stampata, un’enorme aragosta con, qua e là, qualche ciuffo di prezzemolo. Un modo sottile per fare un’opera d’arte e suggerire che la si poteva portare e persino “essere”: situazione verificatasi quando l’abito venne indossato da Wallis Simpson, duchessa di Windsor, e nelle strepitose foto che le fece Cecil Beaton nel giardino del Chateau de Candé. Ancora lampi dalla mostra: ecco l’eccezionale stanza – con l’allestimento che richiama l’atelier di Corso Venezia a Milano – dedicata a Germana Marucelli, antesignana della moda italiana, madre di tutte le future stiliste e sarta e artigiana (nel senso che Balthus dava alla parola «artigiano») sempre all’avanguardia, molto più avanti dei suoi tempi. La collaborazione con Scheggi e Alviani, d’altra parte, è la ripercussione sugli abiti dei suoi giovedì letterari, quando nel ritrovo di via Cerva da lei si riunivano i migliori poeti, scrittori, artisti, critici dell’epoca: ci vorrebbe davvero una mostra a parte per farla conoscere meglio. A tutti. È un connubio, quello tra artisti e stilisti, che si è declinato in molti modi e diverse esperienze (va da sé che le scarpe di Ferragamo che aprono la mostra sono la prova di come fosse artista Ferragamo medesimo) e che riserverà in futuro altre sorprese, come suggerisce l’ultima stanza – Chalayan il più convincente. Si risalgono le scale: pochi passi, e i gommoni di Ai Weiwei su Palazzo Strozzi fugano, a chi esce dal Ferragamo, ogni dubbio ulteriore su dove sia l’arte in questo pomeriggio fiorentino.
© Riproduzione riservata