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Quei vestiti? Sì, sono opere d’arte

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mirabilia

Quei vestiti? Sì, sono opere d’arte

Artemoda.  Paolo Scheggi, «Per una situazione» (1963)
Artemoda. Paolo Scheggi, «Per una situazione» (1963)

Per quanto sia in un sotterraneo, il Museo Salvatore Ferragamo di Firenze abbaglia più volte i visitatori, in questa mostra intitolata «Tra arte e moda» (fino al 7 aprile 2017: cosa aspettate ad andarci?) e curata benissimo da Stefania Ricci. Lo fa con una serie di pezzi che risolvono definitivamente (ma io non avevo dubbi), la questione che viene posta all’inizio del percorso e dell’ottimo catalogo, edito da Mandragora: «La moda è arte?». Ma certo che lo è! Lo è come mille altre forme del “fare” umano che attingono al sublime, al ben fatto, all’eccezionale, al meraviglioso: non c’è bisogno alcuno di confinare l’arte solo a una tela dipinta, a una scultura, a una poesia, a una sinfonia: no, l’arte è molto più estensiva di tutto ciò e sta in ambiti i più disparati. È questione vecchia, del resto, ma, per quanto riguarda la moda, gli abiti, basta avere sotto gli occhi una tunica Delphos di Mariano Fortuny (1907; qui ce ne sono due) per non capire il senso stesso della domanda. È autoevidente: quel leggero raso di seta, plissettato con un sistema che solo Fortuny conosceva e brevettò, colori cangianti, da indossare senza nulla sotto (solo l’abito e il corpo della donna, due capolavori che si incontrano), senza cuciture e chiuso con le perle di vetro di Murano... O il fantastico abito che Elsa Schiaparelli realizzò con la complicità di Dalì: organza di seta chiara, e, stampata, un’enorme aragosta con, qua e là, qualche ciuffo di prezzemolo. Un modo sottile per fare un’opera d’arte e suggerire che la si poteva portare e persino “essere”: situazione verificatasi quando l’abito venne indossato da Wallis Simpson, duchessa di Windsor, e nelle strepitose foto che le fece Cecil Beaton nel giardino del Chateau de Candé. Ancora lampi dalla mostra: ecco l’eccezionale stanza – con l’allestimento che richiama l’atelier di Corso Venezia a Milano – dedicata a Germana Marucelli, antesignana della moda italiana, madre di tutte le future stiliste e sarta e artigiana (nel senso che Balthus dava alla parola «artigiano») sempre all’avanguardia, molto più avanti dei suoi tempi. La collaborazione con Scheggi e Alviani, d’altra parte, è la ripercussione sugli abiti dei suoi giovedì letterari, quando nel ritrovo di via Cerva da lei si riunivano i migliori poeti, scrittori, artisti, critici dell’epoca: ci vorrebbe davvero una mostra a parte per farla conoscere meglio. A tutti. È un connubio, quello tra artisti e stilisti, che si è declinato in molti modi e diverse esperienze (va da sé che le scarpe di Ferragamo che aprono la mostra sono la prova di come fosse artista Ferragamo medesimo) e che riserverà in futuro altre sorprese, come suggerisce l’ultima stanza – Chalayan il più convincente. Si risalgono le scale: pochi passi, e i gommoni di Ai Weiwei su Palazzo Strozzi fugano, a chi esce dal Ferragamo, ogni dubbio ulteriore su dove sia l’arte in questo pomeriggio fiorentino.

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