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Trolleggiare alla Aristotele

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Falsi quasi veri

Trolleggiare alla Aristotele

Itroll sono personaggi della mitologia del nord Europa e del mondo di Tolkien, a volte descritti come gnomi non benevoli, a volte come giganti poco furbi. Ma se qualcuno vi scrive «non nutrire i troll», non dovete preoccuparvi per strane mutazioni del gatto o del criceto cui non fate mancare croccantini e semi di girasole. Vi stanno invitando a non dar retta a un disturbatore, un troll che trolleggia, che si infila in una conversazione in rete solo per dar fastidio: è volgare, va fuori tema, chiede cose note alla comunità, esprime posizioni esagerate, è insomma fuori luogo. Come i politici che insultano un morto o un debole, proprio così. Razze fastidiose, difficili da comprendere e combattere. Per fortuna abbiamo ora un’opera estremamente chiara, un inedito intitolato On Trolling nella traduzione dal greco.

Un’autorevole rivista americana ne pubblica la versione inglese, avanzando per l’autore addirittura il nome di Aristotele, lo Stagirita morto nel 322 a.C. Si tratta di un’ipotesi di lavoro, vediamo lo stile di questo anonimo: «Che trolleggiare sia cosa vergognosa, e che nessun uomo dotato di buon senso accetterebbe di essere definito un troll, è un fatto sul quale tutti concordano; ma che cosa significhi trolleggiare, in quanti modi lo si possa fare, e se si dia una forma di eccellenza nell’essere troll, è cosa oscura».

L’incipit è aristotelizzante, in effetti: un breve ed efficace stato della questione. Il prosieguo lo è ancora di più:«Invero trolleggiare si dice in molti modi». Questo è proprio un calco dell’essere che si dice in molti modi nel libro quarto, capitolo due, della Metafisica, indice del superamento della paralisi parmenidea e del dualismo platonico. Seguono poi diverse ipotesi, compresa quella del folle che trolleggia sul proprio blog . Quindi le soluzioni: «in senso proprio, si dice troll chi parla a una comunità come membro della stessa», ma in verità ne è nemico, il suo scopo è distruggere il bene che unisce tale comunità. Pertanto «mette in discussione ciò che è ritenuto vero, deplora ciò che è ammirato, o genera paure per piccoli problemi come fossero enormi e considera piccoli quelli enormi». Ma, e qui si nota la finezza del filosofo che osserva con l’acribia dello scienziato, il troll non usa grossolane menzogne. Infatti «dice cose false in modo che suonino vere», e soprattutto «suggerisce, indica», dove la traduzione di making an indication ci vien fatto sapere essere del verbo semainein, il significare in senso ampio. Per questo è difficile cogliere in fallo il troll, perché secondo le più astute tecniche della retorica farà in modo di dire che non intendeva proprio quello, che non lo si capisce, che lo si vuole isolare, che il suo fine era solo quello di far aprire gli occhi e aiutare la discussione.

Si dice che sia un debole, il troll, in effetti se fosse forte userebbe ben altre armi dialettiche (rimane un dubbio sulla traduzione dal greco: quando si legge che il trollsits in pyjamas, come sarà l’originale? Il troll vive mollemente sul triclinio? Si veste solo con tuniche comode? Non indossa mai la corazza di bronzo?). Altra traccia dello Stagirita è poi il riferimento a Socrate, oggetto di amore e odio da sempre, da quando forse all’Accademia Platone lodava commosso il martire maestro e Aristotele non poteva fare a meno di notare la sottile ipocrisia del socratico «sapere di non sapere» stigmatizzata nell’Etica nicomachea. I troll poi esistono a causa della debolezza delle relazioni all’interno delle comunità, chiunque può entrare e uscire senza controllo (nei ginnasi non funzionava così). D’altra parte il problema è presto risolto: si dica chiaramente che non si devono nutrire i troll. Tutti lo sapranno, di conseguenza tutti lo faranno, secondo le modalità della ragion pratica. Se questo inedito è un falso, si tratta di un ottimo falso.

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