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Cartoline per fermare Hitler

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riflessi nel grande schermo

Cartoline per fermare Hitler

Uno degli argomenti principali di Adolf Eichmann durante il processo di Gerusalemme era che nessuna voce si fosse levata dall’esterno «per svegliare la sua coscienza». Lo racconta Hanna Arendt, che subito aggiunge: «Questo era esatto…». E però, continua, di tanto in tanto qualche voce aveva pur tentato di trattenerlo. Ma erano voci deboli e ambigue, che venivano da una sorta di «emigrazione interna», ossia da chi dopo la guerra, magari avendo ricoperto incarichi importanti nel Terzo Reich, avrebbe detto a sé e al mondo di essere stato «intimamente contrario» al regime. Intimamente contrari, fino a un certo giorno del 1940, forse sono anche Otto (Brendan Gleeson) e Anna Quangel (Emma Thompson) in Lettere da Berlino (Alone in Berlin, Gran Bretagna, Francia e Germania, 2015, 103’).

Tratto da Ognuno muore solo – un grande libro in cui Hans Fallada si ispira alla storia vera di Otto ed Elise Hampel –, il film di Vincent Pérez e del cosceneggiatore Achim von Borries inizia con la morte, da qualche parte in Francia, del giovanissimo soldato Hans Quangel. Una lettera secca e burocratica ne porta la notizia ai genitori. Come se temessero di mostrare in pubblico la propria sofferenza, Otto e Anna si chiudono in loro stessi. Solo lei ha uno scatto, subito contenuto. L’ha ucciso il tuo Hitler, dice al marito soffocando un grido.

Niente sappiamo di Otto e delle sue opinioni politiche prima di questo giorno tragico, come niente sappiamo di Anna. Sappiamo solo quello che Pérez ci mostra. E quello che subito ci mostra è la decisione di lui, caparbia e forte. Da oggi, qualunque sia stata la sua vita – sia stato o non sia stato “intimamente contrario” –, Otto sa che deve agire. La morte del figlio è il limite oltre il quale non consentirà che il Führer si spinga. Non ha bisogno di invocare principi, per questa sua rivolta. Gli bastano il dolore e l’orrore. E non conta l’enorme disparità di forza tra lui e l’apparato di controllo nazista, reso ancora più totale dal silenzio dei vicini, dei compagni di lavoro, della gran massa dei tedeschi. Conta questo suo dovere interiore.

Scriverà dunque delle cartoline – saranno 285 in 18 mesi – per mettere in guardia i berlinesi: Hitler è un assassino, Hitler vi porta al disastro… Poi andrà a metterle dove le si possa vedere, all’interno dei tribunali, sulle scale degli uffici pubblici, nelle scuole. E Anna sarà con lui, anche se lui vorrebbe che non rischiasse quello che lui stesso rischia. Insieme, si dicono, e insieme arriveranno sino in fondo.

Attorno ai due, nel loro condominio come per le strade e in fabbrica, c’è il fanatismo della maggioranza. Quando non c’è il fanatismo, c’è la paura, sia quella degli indifferenti, sia quella di chi soffre “intimamente” l’orrore del regime. Di questo secondo tipo è la paura dell’anziano Fromm (Joachim Bißmeier), integerrimo magistrato in pensione. Quando occorre, può anche agire, come nel caso di una vecchia signora ebrea destinata al Lager. Ma non fino a mettere in pericolo se stesso. D’altra parte, a nessuno si può chiedere d’essere eroe.

Quanto a Otto e Anna Quangel, lo sono loro, eroi? E i veri Otto ed Elise Hampel? Se potessero rispondere, forse si stupi-rebbero della domanda. La loro rivolta è per la dignità e la vita, e anzi per la dignità dei vivi, tutto qui. E non “da eroi” si comportano Otto e Anna di fronte ai loro persecutori, si tratti delle SS o di Escherich (Daniel Brühl), il poliziotto che li bracca per un anno e mezzo, o dei giudici che li condannano. Certi delle loro ragioni, e consapevoli d’essere inermi ed esposti alla prepotenza del regime, osservano quasi dall’esterno quello che sta accadendo. Qui è la loro superiorità, in questo coraggio lucido e quieto.

L’anziano Herr Fromm, il magistrato a suo tempo integerrimo e oggi ridotto a tacere, li guarda in tribunale, seduto fra il pubblico. Certo è con loro e con la loro rivola, ma “interiormente”. Non sa che, 18 anni più tardi, un assassino che si pro-clamerà innocente – forse addirittura credendolo – userà del suo silenzio come di un alibi.

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