Cultura

Palazzo Chiericati rinnovato

  • Abbonati
  • Accedi
Arte

Palazzo Chiericati rinnovato

Nuove Sale. Nuove sale a Palazzo Chiericati di Vicenza, sede del Museo Civico
Nuove Sale. Nuove sale a Palazzo Chiericati di Vicenza, sede del Museo Civico

La riapertura dell’ala novecentesca di palazzo Chiericati a Vicenza, che consegue a quella del Museo Civico nel 2013, darà tono alla città, la cui fisiologica “attiva flemma” oggi è afflitta da dolenti note bancarie. Per salutare contrasto, nei giorni scorsi si sono festeggiati alcuni eventi culturali che hanno portato un po’ di sollievo: il rinnovamento del percorso espositivo del museo e il recupero di molti dipinti dai depositi; la convocazione temporanea a Palazzo Leoni Montanari di un illustre ospite, qual è la Trasfigurazione di Giovanni Bellini conservata a Capodimonte, ma in origine in una cappella della cattedrale vicentina, quadro concesso in prestito per celebrare il quinto anniversario della morte del sommo pittore veneziano; il restauro delle trentaquattro tele di Alessandro Maganza e bottega, che addobbano e gremiscono la cappella del Rosario nella chiesa di Santa Corona, dove si custodisce la grande tavola del Battesimo di Cristo dello stesso Bellini, vanto ineguagliabile del patrimonio d’arte vicentino. La bella chiesa di Santa Corona dista pochi passi dal palladiano Palazzo Chiericati, vicinanza che giova a tracciare un itinerario monumentale breve e denso di capolavori anche da riscoprire. Il pubblico se ne renderà conto percorrendo i nuovi ambienti del museo, che uno studioso del valore di Wart Arslan definì «la più importante quadreria di terraferma nel Veneto». La cura scientifica del nuovo assetto spetta a G.C.F. Villa mentre la direzione tecnica e il progetto esecutivo rispettivamente a E. Alberti e M. Zocchetta.

Al pianterreno sono esposti i sette lunettoni “civici” di Jacopo Bassano, Carpioni e Maffei che narrano «il racconto della Serenissima Repubblica». Maffei s’innalza fra i maestri della pittura veneta del Seicento per il fare agitato e per i colori incandescenti: una sintesi di suggestioni irradiate da Tintoretto, Schiavone e Fetti, con qualche lampo di El Greco e un’inconfessata devozione per l’ultimo Tiziano. Ne è sortito un pittore come il Maffei, che meriterebbe una mostra monografica (quando ve ne fossero i mezzi), non essendo certo inferiore né ai discontinui e inflazionati seguaci di Caravaggio, né ai lombardi della peste, né ai genovesi, non solo per la superba qualità del ductus pittorico, quanto per il declamare drammatico dei personaggi principali, specie dei rettori vicentini, protagonisti dei lunettoni.

Al piano superiore inizia la sequenza delle sale, ordinata cronologicamente, dalle prime testimonianze duecentesche agli inizi del Settecento. L’allestimento essenziale e la distribuzione calibrata delle opere confortano il visitatore che non rischia collassi da stanchezza. Ma se insieme agli elogi è lecito un lamento, le due statue di marmo a grandezza maggiore del naturale di Francesco Sforza e della consorte Bianca Maria Visconti di Alberto Maffioli (1491-94), provenienti dalla facciata del Duomo di Cremona, sono esposte in posizione troppo elevata, defilata e in penombra, sì che paiono messe lì per coprire un vuoto.

Dopo essersi imbattuti nella Dormitio Virginis di Paolo Veneziano e nella Crocifissione di Memling si profila l’incontro con le opere di Bartolomeo Montagna, capostipite della pittura a Vicenza agli inizi del XVI secolo. Lo ritroveremo poi, nella grande aula che assembra le pale d’altare che un tempo ornavano la chiesa di San Bartolomeo, con il Cristo deposto dalla croce di Giovanni Buonconsiglio, pittore che, in questo quadro pieno di pathos, supera di gran lunga il Montagna. Altrettanto intenso è l’impatto della Vergine e il bambino Gesù di Jacopo Sansovino, rilievo di terracotta di oltre un metro di altezza che era già stato possibile ammirare al Quirinale nel 2011, reduce da uno strabiliante restauro realizzato dall’Opificio delle Pietre Dure a Firenze. La Madonna si erge in una solennità regale che addolcisce il gigantismo di marca michelangiolesca nel fluire continuo delle linee e delle pieghe del manto, armonia percepibile grazie all’intervento di restauro che ha ricomposto i frammenti e restituito il colore, anzi il calore cromatico della terracotta.

Di sala in sala, la tela di Jacopo Tintoretto raffigurante Sant’Agostino che risana gli storpi, soggetto raro desunto dalla Legenda Aurea, suscita immediata meraviglia. Questo fulgido dipinto della maturità di Tintoretto era conservato nella chiesa di San Michele degli agostiniani a Vicenza. Qualcuno di loro suggerì il tema. Sul piano iconografico, è singolare che al vescovo di Ippona, che immagineremo sempre chino sulle pagine dei suoi mille scritti, fosse occorso, una volta in cielo, di compiere miracoli corporali, rappresentabili in modo molto più spettacolare e coinvolgente di un normale ritratto con il santo cogitabondo, seduto su una panca accanto a una cattedra, la penna in mano e lo sguardo da filosofo perduto nell’etere.

© Riproduzione riservata