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Il banchiere e le sirene

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gli atti linguistici dei governatori

Il banchiere e le sirene

Astuzie della ragione. Ulisse si fa legare per resistere al  canto delle Sirene
Astuzie della ragione. Ulisse si fa legare per resistere al canto delle Sirene

A margine della Global Investment Conference il 26 luglio 2012 Mario Draghi fece il suo famoso discorso del «whatever it takes». Le parole, la postura fisica, la dizione, tutto convergeva nel dare il messaggio chiaro e forte che l’euro era vivo e vegeto e che i muscoli della Banche Centrali erano pronti a piegare quelli di un mercato ostile e ribelle. «La Bce, entro i limiti del suo mandato, farà tutto quanto è necessario (whatever it takes) per preservare l’euro». Pausa, sguardo chiaro e diretto all’uditorio. «E basterà, credetemi».

Queste parole, ponendo di fatto fine alla crisi del debito sovrano in Europa, sono diventate un mantra, il simbolo della risurrezione delle Banche Centrali, soprattutto di quella europea, imbrigliata dalle politiche e dalle idee spesso divergenti dei suoi azionisti. E anche il simbolo di quanto le parole siano uno strumento fondamentale della politica monetaria contemporanea.

Ben Bernanke, l’ex presidente della Federal Reserve americana, sosteneva che la politica monetaria è fatta per il 98% di parole e per il 2% di azioni. Dunque è bene capire cosa significhi davvero il linguaggio dei banchieri centrali. La sintassi dei numerosi interventi pubblici dei Governatori delle principali economie del mondo è il certosino esercizio che ha svolto Alberto Orioli nel suo nuovo libro Gli oracoli della moneta. Non si tratta di un pedante esercizio di analisi del linguaggio, bensì di un’appassionante e articolata narrazione, attraverso la lente delle parole, di come è evoluta la funzione del banchiere centrale, soprattutto durante le tempeste finanziarie dell’ultimo decennio.

Paolo Baffi, nelle sue ultime considerazioni finali nel 1979 (riportate nel libro), dichiarò: «Nel campo macroeconomico le azioni delle Banche Centrali sono uscite dal silenzio forse per non ritornarvi: se quel silenzio è stato in passato percepito come una garanzia d’indipendenza, oggi l’indipendenza si realizza nel rendere conto esplicito della propria azione in modi e tempi che non ne compromettano l’efficacia». In qualche modo Baffi dava una prospettiva e un significato di lungo periodo alla tradizione delle «Considerazioni Finali», introdotta in Banca d’Italia da Luigi Einaudi nel 1947.

Esternare era la conseguenza dell’indipendenza dei banchieri centrali e della politica monetaria dai governi, che richiedeva però di dar di conto, appunto, “accountability”.

La questione, però, non si limita a questo, all’accountability. Come ben indica il whatever it takes di Draghi, le parole del banchiere centrale servono ora a indicare cosa le Banche Centrali intendono fare e così influenzare l’azione dei mercati.

Anche se non sono cambiati gli obiettivi delle politiche monetarie è cambiata la gestione delle informazioni. Si è passati da un «pomposo e oscuro dialetto inglese» (la citazione da Alan Blinder riguarda la Fed, ma vale in senso generale) a una comunicazione chiara ed esaustiva. Che, dice Orioli, si traduce in “Speech acts”, atti di parole. La parola, insomma, diventa implicitamente azione, non solo perché dice quel che la Banca Centrale potrebbe fare, ma anche perché presuppone che il ricevente (gli operatori di mercato) la colga, agendo di conseguenza.

Ma l’arte degli “Speech acts” non è così semplice. Le opzioni sono due, la via di Odisseo e quella di Delfi.

La via di Odisseo implica dichiarare quel che si farà e continuare a farlo, tappandosi occhi e orecchi per non vedere e sentire il canto delle sirene. In qualche modo il “whatever it takes”. Strada che se declinata in obiettivi più specifici (il tasso di inflazione, oppure il tasso di interesse che tra sei mesi sarà) diventa provvida di rischi e soprattutto rischia di legare le mani e minare la credibilità del banchiere centrale confrontato a una realtà assai complessa e mutabile. L’alternativa è seguire l’oscura enigmaticità dell’oracolo di Delfi con frasi appunto come: «Questo è ciò che pensiamo di voler fare se l’economia evolve così come noi ci attendiamo che accada».

E per gli addetti ai lavori interpretare gli oracoli è arte assai difficile. Orioli cita moltissimi gustosi esempi di come leggeri e quasi impercettibili mutamenti di linguaggio abbiano preceduto cambiamenti di direzione drastica nella politica monetaria. Ad esempio l’abbassamento dei tassi della Banca Centrale australiana nel maggio di quest’anno è stato preceduto da un comunicato che mutava quelli precedenti semplicemente in un verbo ausiliare: da «continued low inflation may provide scope for easier policy» a «continued low inflation would provide...». Il significato è sempre “potrebbe”, ma l’enfasi in inglese leggermente diversa.

Una via intermedia tra Odisseo e Delfi è l’idea della così detta forward guidance, di fatto introdotta da Alan Greenspan (il predecessore di Bernanke alla Fed). Nel 2003, nel comunicato che seguì una riunione del Federal Open Market Committee (che decide la politica monetaria americana), venne dichiarato che i tassi sarebbero rimasti bassi per un considerevole periodo di tempo. Per la prima volta il comunicato non si riferiva solo allo stato dell’economia fino a quel momento ma dava indicazioni chiare, seppur vaghe, di quel che la Fed avesse intenzione di fare in futuro. Questo approccio è stato tenuto dai principali banchieri centrali da quel momento in poi.

Il libro di Orioli spiega però anche chiaramente con molti esempi che le parole non bastano. Bernanke non sarebbe riuscito a placare i mercati se non avesse avviato poi l’enorme piano di salvataggio delle banche e in seguito il quantitative easing, iniettando un’infinità di moneta nel sistema. Lo stesso vale per il whatever it takes di Draghi, che avrebbe avuto ben poco vento nelle vele senza il varo dei programmi di intervento sui titoli pubblici e senza, anche in questo caso, l’avvio del quantitative easing europeo.

Il rischio degli atti di parole è infine la trappola verbale, ossia che troppe parole, così come troppa moneta, immesse nel sistema non siano più in grado di muovere i comportamenti, soprattutto quando travisate e opportunisticamente tradotte dalla retorica politica di breve periodo. Come ben conclude Orioli: «Le spalle dei banchieri centrali possono sopportare solo ciò che la fiducia concede alle loro parole».

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