L’Italgas, che oggi fa parte della Snam (a cui l’Eni l’ha ceduta nel 2009), è una delle più antiche imprese italiane, dato che nel 2017 compirà il suo 180° compleanno. Fondata il 12 settembre 1837, la “Compagnia di Illuminazione a Gas per la città di Torino” era già a quell’epoca una società con robuste basi finanziarie. In quanto la sua attività comportava l’adozione di tecnologie innovative e risorse consistenti. D’altronde essa aveva destato l’attenzione di un’«aristocrazia del danaro» imparentata con l’alta banca francese. Da Lione giunse infatti la maggior parte sia dei capitali che dei dirigenti mentre i quadri del Genio militare e, successivamente, della Scuola d’applicazione per ingegneri assicurarono un contributo prezioso al perfezionamento degli impianti.
Il capoluogo piemontese ospitava a quei tempi una popolazione di 120mila abitanti e, tranne l’Arsenale militare e qualche officina governativa, dominavano il campo le antiche tessiture della seta, gli ateliers per l’abbigliamento, le manifatture dei velluti e dei dolciumi. Non tanto, quindi, all’incremento industriale era legata l’espansione urbanistica di Torino con i nuovi quartieri residenziali, l’apertura di grandi viali e piazze, la costruzione di edifici pubblici e sontuose dimore patrizie, su modello di Parigi e Londra.
La partecipazione di alcuni banchieri torinesi (sia pur quali titolari di quote di minoranza) e gli incentivi dell’Amministrazione civica per un’estensione dell’illuminazione pubblica dai quartieri centrali alla periferia concorsero a fare della Compagnia del gas un organismo in grado di estendere, dopo l’Unità, la propria attività in altre regioni. Di qui la decisione assunta nell’agosto 1863 dal Credito Mobiliare, quando Torino era ancora la capitale del Regno, di trasformare l’azienda originaria in Società Italiana per il Gas. Quello che allora era il principale istituto bancario italiano, presieduto dal genovese Domenico Balduino e appoggiato dal gruppo francese dei Péreire in competizione con i Rothschild, aveva nel contempo promosso la costituzione della Società per le Strade Ferrate Meridionali. Fu perciò nell’ambito di questa strategia finanziaria espansiva che l’impresa torinese poté disporre dei mezzi necessari per ampliare l’attività anche nel campo del riscaldamento e della produzione di forza motrice e perfezionare i suoi impianti mediante l’opera di un gruppo di esperti (alcuni dei quali membri dell’Accademia delle scienze di Torino).
Negli anni Ottanta, quando il sistema economico fu sul punto di venire travolto dalla “guerra commerciale” con la Francia e dal crollo delle principali banche, il passaggio dell’impresa sotto l’egida del Credito Italiano, sorto nel 1895 al fine di operare su modello tedesco come una “banca mista” di deposito e d’investimento, risultò decisivo per l’Italgas. In quanto le consentì di orientare man mano nel primo decennio del ’900 gran parte della sua attività, dal campo dell’illuminazione (passata alle nuove società elettriche), verso l’erogazione di altri servizi (in particolare, per il riscaldamento e la fornitura sussidiaria di forza motrice).
Dopo che negli anni Venti Rinaldo Panzarasa aveva trasformato l’azienda in una holding finanziaria, per il controllo di varie produzioni collaterali (dagli esplosivi ai coloranti derivanti dal benzolo, dall’ammoniaca sintetica ai farmaceutici e ai fertilizzanti), con numerose partecipazioni in altri settori (dall’elettricità alla chimica), l’Italgas non sarebbe sopravvissuta ai contraccolpi della crisi del 1929 se i dirigenti della Comit (in procinto di passare sotto le insegne dell’Iri) non avessero indicato a Mussolini il nome di Alfredo Frassati perché si occupasse del salvataggio della Società. Il duce non avrebbe mai dato il suo consenso a questa soluzione (in quanto si trattava di un ex “giolittiano di ferro”, comproprietario sino al 1925 de «La Stampa», da lui defenestrato) se non fosse rimasta l’unica possibile per evitare il dissesto dell’Italgas. Fu così che, sotto la regia di Frassati, essa restò nel settore privato e venne rimessa gradualmente in sesto. Sfuggito nel settembre 1943 a un mandato di cattura emesso dalla Repubblica di Salò e tornato nel novembre 1945 alla guida dell’Italgas, egli portò a compimento nei primi anni Cinquanta la riorganizzazione dei 45 esercizi della Società. Durò da allora altri dieci anni la presidenza di Frassati, che provvide, in coincidenza col “miracolo economico”, allo sviluppo degli impianti e della rete distributiva.
Dopo la sua scomparsa nel maggio 1961, ne prese il posto Paolo Thaon de Revel (già ministro delle Finanze dal gennaio 1935 al febbraio 1943, noto come il «conte rosso» perché avrebbe voluto introdurre la nominatività delle azioni e inasprire le imposte sui redditi più elevati). Ma s’impose infine, a causa della decrescente competitività del gas manifatturato rispetto al metano, la decisione dei principali azionisti (l’Italcasse e lo Ior) di cedere il 30% del capitale sociale alla Snam, interessata ad avvalersi dell’ampia rete distributiva in Italia della Società torinese. Da allora il potere decisionale passò di fatto all’Eni.
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