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Il treno con poca velocità

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RIFLESSI NEL GRANDE SCHERMO

Il treno con poca velocità

«La ragazza del treno» di Tate Taylor
«La ragazza del treno» di Tate Taylor

La versione in movimento di La finestra sul cortile: così Erin Cressida Wilson considera La ragazza del treno (Usa, 112’), che ha scritto con il regista Tate Taylor. Come il film di Alfred Hitchcock, anche questo tratto più o meno liberamente da The Girl on the Train di Paula Hawkins sarebbe dunque un capolavoro del voyeurismo? Evitiamo di ridere e procediamo.

In senso stretto, il voyeurismo (o scopofilia) è un’attrazione morbosa per la vista della nudità o degli atti sessuali altrui. In senso lato, è un piacere di guardare reso autonomo dalla sfera erotica immediata. Senza questo voyeurismo di secondo grado la vita e il cinema sarebbero molto più noiosi. Ma c’è voyeurismo e voyeurismo. Non tutti i registi hanno l’insinuante, coinvolgente, ironica “scopofilia” di Hitchcock, per dire un’ovvietà. Per dirne un’altra, non tutti gli sceneggiatori hanno l’imprudenza di evocarne la grandezza per vendere meglio il loro lavoro. In ogni caso, proviamo a tenere per buona l’uscita spericolata della signora Wilson.

Il film inizia su un treno per pendolari diretto a Manhattan. Come ogni giorno, la trentenne Rachel (Emily Blunt) scruta fuori dal finestrino. Come ogni giorno, appunto, osserva “morbosamente” la casa dove vive una giovane donna procace e dai costumi sessuali ben vivi. Scopriremo che la donna si chiama Megan (Haley Bennett). Per ora sappiamo solo che Rachel è attratta dalla sconosciuta per il suo ménage intenso con un omaccione bruno. Lei è tutto quello che vorrei essere io, ci informa la sua voce fuori campo. Non siamo certi d’averne intuite le ragioni profonde, ma siamo pronti a crederle.

Ci aspettiamo dunque di vederne delle belle, a proposito di Rachel e Megan, si tratti di voyeurismo in senso lato o magari stretto. Nel frattempo, la sceneggiatura si impegna a raccontarci che Rachel ha i suoi problemi. È alcolizzata e soffre di amnesie ricorrenti e totali. Questo dovrebbe spiegarci perché non ricordi che non lontano da Megan abita anche il suo ex marito Tom (Justin Theroux) con la nuova moglie Anna (Rebecca Ferguson), e che la loro casa è la stessa in cui lei ha vissuto prima del divorzio. O forse sono Taylor e Wilson che inciampano nel racconto e faticano a dipanarne i fili? Comunque sia, tra un po’ le tornerà la memoria. I motivi resteranno confusi, ma noi li prenderemo per buoni, una volta di più.

Trattandosi di un thriller, ora non entreremo nei particolari. Basti dire che un certo giorno Rachel scende dal solito treno e si dirige verso la casa di Megan. Stordita dall’alcol e annebbiata dall’amnesia, qualche ora dopo si risveglia malconcia a casa propria. Intanto Megan è scomparsa, forse uccisa da uno sconosciuto. O da una sconosciuta? Tutto è possibile, e noi siamo a pronti a crederci, come d’abitudine.

Che sia possibile tutto, e anche il contrario di tutto, è confermato dalla moltiplicazione dei personaggi, quasi mai indispensabili. A parte una poliziotta (Allison Janney) che niente fa, a parte una coinquilina di Rachel che neppure la sceneggiatura immagina a che cosa serva, e a parte il marito di Megan – il palestrato e ancor più tonto Scott (Allison Janney) –, spicca per superfluità tale dottor Kamal Abdic (Edgar Ramírez). A lui, psicanalista e (forse) amante di Megan, si rivolge anche Rachel. Perché mai lo faccia, resta nella stessa nebbia in cui è avvolta la sua mente, con o senza alcol. Un motivo ci sarà. Noi comunque ci rassegniamo a crederlo.

E il voyeurismo, o scopofilia che dir si voglia? Nel senso stretto dell’attrazione morbosa per la vista della nudità o degli atti sessuali altrui, se ne scorgono alcune tracce, isolate ma sempre molto nette e patinate. Quanto a stile registico non sono originali, ma hanno il merito di ridurre la noia della vita, se non proprio del racconto. E nell’altro senso, quello lato e “hitchcockiano”? In questo senso, purtroppo, La finestra sul cortile non c’entra per niente, né in movimento né da fermo. Quanto a Erin Cressida Wilson, la sconsiderata farebbe bene a riderci su. E noi con lei.

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