Cultura

Le città d’arte? Bene comune

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CONVEGNO A MANTOVA

Le città d’arte? Bene comune

Lo scenario economico contemporaneo è al centro di grandi cambiamenti strutturali che influiscono profondamente sulla distribuzione globale delle risorse, sui modi di fare impresa, sulla struttura sociale e sugli stili di vita individuali e collettivi. Queste profonde trasformazioni avvengono per lo più in ambienti urbani che hanno una lunga storia, ambienti simbolici e monumentali in cui la lunga durata storica costituisce un elemento presente e condiviso dell’identità locale.

Come ci sentiamo spesso ripetere, molto del nostro futuro riguarda le città, ma non tutte e non nello stesso modo. L’Europa, in particolare, ha negli ultimi decenni giocato un ruolo relativamente secondario nello scenario globale dei nuovi modelli di sviluppo urbano.

I modelli europei di innovazione urbana che si sono rivelati davvero capaci di lasciare un segno incisivo nella storia recente sono pochi, e spesso soltanto provvisoriamente efficaci: dalla Berlino degli anni Novanta alla macro-città della Ruhr, dal Randstad olandese a Barcellona, per fare qualche esempio. Nel contesto italiano, la Milano di questi ultimi anni, con la sua trasformazione post-industriale su larga scala che ha pochi termini di paragone in Europa, potrebbe forse costituire un nuovo episodio significativo in tal senso, anche se è presto per una valutazione definitiva. È tuttavia un dato di fatto che le grandi trasformazioni urbane di questi anni hanno raramente toccato le città antiche di dimensioni medio-piccole caratterizzate da una forte densità di patrimonio artistico, ovvero le cosiddette “città d’arte”.

Nonostante lo sviluppo del turismo globale, e talvolta a dispetto delle intenzioni dell’Unesco, queste piccole patrie della civiltà europea sono state più testimoni di sconfitte che di riuscite. Venezia, con le sue evidenti contraddizioni e con i profondi interrogativi sulla sua futura sostenibilità ambientale e sociale, è un caso evidente di questa irrisolta battaglia; Bruges o Toledo, in modi diversi, rappresentano esempio di una conservazione di ambienti urbani storici operata attraverso una sorta di istituzionalizzazione di uno stato di sonnolenta perifericità. Sono città capaci di attirare turisti e nei casi migliori anche di assicurare buone condizioni di vita ai propri cittadini più anziani, ma per i più giovani sono generalmente luoghi da abbandonare in cerca di situazioni più vivaci e propositive da ogni punto di vista. Gli esempi potrebbero moltiplicarsi e coprirebbero abbastanza capillarmente l’intera geografia europea. Ma occorre osservare d’altra parte che questa stessa, affascinante rete territoriale delle città d’arte europee rappresenta una delle potenzialità più uniche e preziose per il futuro del nostro continente.

È quindi importante, oggi più che mai, concentrare la nostra attenzione su questa realtà e riflettere concretamente su quali possano essere i modelli di sviluppo urbano che meglio possano valorizzarne le potenzialità, con una particolare attenzione per il ruolo della cultura che ne rappresenta un elemento identitario (e una possibile fonte di vantaggio competitivo). Occorre ragionare in piena libertà, pensando e integrando le politiche su una scala territoriale allargata, individuando e disegnando sinergie e servizi senza limitarsi ai confini comunali tradizionali, per individuare una dimensione territoriale adeguata al conseguimento di una massa critica sufficiente in termini di popolazione, risorse, forme di specializzazione. La cultura può svolgere un ruolo cruciale in tal senso, contribuendo a produrre nuove sintesi che restituiscano un dinamismo oggi in gran parte perso ai sistemi sociali, produttivi e organizzativi, senza limitarsi alla vieta e spesso limitata logica degli attrattori turistici.

La cultura è sorgente di innovazione sociale e di contaminazione creativa tra filiere produttive. È necessario che l’economia e la politica abbiano il coraggio di reinventarsi attorno a una ritrovata capacità progettuale e a una rifondazione di un’idea di bene comune. E se vogliamo è proprio la nozione del bene comune a essere particolarmente potente e leggibile nelle stratificazioni storiche della città d’arte, nel suo lento farsi che è il risultato di un processo che è allo stesso tempo sociale, civile ed economico su cui si è edificata la preziosità e la civiltà dell’Europa.

Questo è il contributo che le città d’arte possono dare, sia nella prospettiva di uno scenario futuro non impostato sulla mera sopravvivenza e sulla conservazione di uno status quo, sia nell’esplorazione di modelli di innovazione sociale ed economica che facciano della specificità dell’Europa un elemento propulsore. E questa partita passa, inevitabilmente nel caso delle città d’arte, anche dalla riscoperta del senso e del valore progettuale di un sapere umanistico che ci permetta di affrontare le grandi sfide del nostro tempo da prospettive e con approcci che vadano oltre il senso comune e la stanca ripetizione di formule che manifestano limiti di efficacia sempre più evidenti. È su questo piano che le “piccole” città d’arte europee possono rivendicare un ruolo globale nel quale la loro specificità può fare la differenza. Il convegno di Mantova vuole essere un primo momento in cui prendere coscienza di questa nuova partita da giocare, e in cui avviare da subito una riflessione progettuale concreta che si trasformi rapidamente in progetti, politiche, esperienze.

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