Cultura

Ma è la musica che gira intorno

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UN DIZIONARIO POP-ROCK

Ma è la musica che gira intorno

Cantautore. Ivano Fossati
Cantautore. Ivano Fossati

È appropriato, forse sintomatico, che una cronologia appassionata, una storia dei giorni, veda la luce nel momento perfetto di un cambiamento irreversibile. In fondo un libro “sul tempo” si scrive quando un periodo non c’è più, quando un’epoca finisce e ne comincia un’altra, quando si pensa di avere archiviato e compreso il passato sapendo di capire poco del presente. Del futuro poi nemmeno a parlarne. È quello che succede alla musica che amiamo, e anche a noi stessi.

Il momento perfetto per raccontare forse è proprio questo, perché nell’evoluzione della musica e del gusto popolare il tempo c’entra eccome, insieme alla storia. Ecco perché la musica pop è così maledettamente importante, tanto da piegare o assorbire il pensiero dei filosofi e degli storici. Ecco perché consideriamo formativo, istruttivo, interessante e in certi casi divertente, ripercorrere i giorni di Bill Haley, quelli di Etta James, le vicende di un solo momento che hanno ispirato Jaques Brel o gli U2, e immalinconirci per quell’alba lontana che ci ha strappato il talento di Fred Buscaglione.

Dico spesso che ogni essere umano appartiene al proprio tempo, e nessuno, con buona pace delle palestre, dei centri benessere e delle creme anti-age, può fare finta di essere nato ieri. Da ragazzo ho amato svisceratamente i Beach Boys, gli Stones, i Beatles, Ray Charles e Jimi Hendrix; oggi mi piacciono i Kasabian, i Temples, e certe ringhiose band appena nate, ma questo non mi sposta nel futuro, forse solo in un passato appena più recente e meno cavernoso. Credo che tenere d’occhio l’evoluzione delle cose aiuti, e molto.

Passare in rassegna la musica e i suoi personaggi, nel momento in cui è tanto facile inseguire notizie e informazioni alla velocità della rete, può sembrare un esercizio superfluo, ma la rete non contiene tutto, è bene saperlo e ricordarlo sempre. La quantità di musica, di persone e avvenimenti che ora dopo ora, vanno perduti nel vuoto dell’indifferenza è incalcolabile; la rete di per sé avrebbe i mezzi per contenere di più ma i nostri interessi e la nostra curiosità (sebbene appaiano smisurati) sono assai limitati e omologati.

Sembra ormai un dato di fatto che web e sistema digitale abbiano affondato la vecchia industria discografica (che così superata in fondo non era) senza suggerire per la musica un’alternativa industriale concreta, non a vantaggio dei soliti padroni della rete e delle tecnologie. Eppure tutta questa facilità di guardarci attorno nel mondo è un altrettanto formidabile cambiamento: quelli della mia età, e anche molti dei più giovani, sono cresciuti pensando che esistessero soltanto la musica inglese e quella americana (retaggio comprensibile degli esiti della guerra e del dopoguerra). Facevano eccezione solo pochi chansonnier francesi, molta musica da ballo latinoamericana col gonnellino di paglia, e il miracolo della bossanova, che i brasiliani riuscirono chissà come a imporre nel mondo alla faccia di tutti.

Chi poteva immaginare che nel 1965 in Turchia si formassero e sciogliessero centinaia di gruppi beat, proprio come qui in Italia. E molti di più (fra pesanti difficoltà) in Russia, in Armenia e in altri Paesi, sparsi fra il vicino oriente e il mediterraneo. Chi sapeva qualcosa di quelle terre mentre in Italia imperversavano Help e Satisfaction? Mondi allora troppo lontani, forse appena immaginati. Noi appartenevamo all’emisfero dei Beatles, di John Kennedy, delle minigonne e della Fiat 500. La storia, quella maiuscola, aveva benevolmente deciso così. La ex Jugoslavia era qui a un passo, ma la sua musica non ci ha raggiunti che nei primi anni Novanta, quando un poco della nostra curiosità, con l’arrivo della world music, si è svegliata dal torpore di decenni e abbiamo compreso di essere immersi in un oceano di culture differenti.

La musica popolare ci ha segnato, e ci segna oggi più che mai, con suoni e parole diversi, in continua evoluzione. Perché se internet una ragione ce l’ha è quella di determinare un cambiamento continuo, di giorno e di notte, di ora in ora, mettendo a nudo il fondamento della musica e delle canzoni (che è quello di non necessitare di solidità, ma di una continua trasfigurazione, basata sul tempo e sull’intuizione). Il tempo si muove: fra l’accento musicale in battere e quello in levare il più delle volte passa solo una frazione di secondo, ma in quel fragile dondolìo è contenuta l’essenza del rock e della musica pop degli ultimi sessant’anni. Non lo dico io, sono parole di Keith Richards, e personalmente a quel vecchiaccio ci credo.

Per concludere: qualcuno fa coincidere l’inizio della più grande rivoluzione musicale che si ricordi con la comparsa delle prime incisioni dei Beatles, altri con il suono della Stratocaster di Hank Marvin insieme agli Shadows, altri ancora risalgono fino a Gene Vincent e Elvis Presley. Poco importa ormai come sia cominciata la rivolta (e il blues allora? Il jazz e le canzoni degli anni quaranta?) e come sia arrivata sempre più vicina a noi (il Prog degli anni Settanta, il pop plastificato degli Ottanta, i talent show di oggi) quello che conta è che non finisce mai. Le schegge di quell’immane deflagrazione creativa ci colpiscono ancora, perché, ci piaccia o no, sono buona parte della musica di oggi.

Quello che rende interessante (e importante) questa lunga catena di nomi, di date e di fatti, è che giorno dopo giorno, attimo dopo attimo, porta la storia della musica che amiamo fino alla soglia di casa nostra. Dove, sono sicuro, si fermerà solo un momento, perché mentre leggete queste mie parole i ritmi stanno già cambiando.

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