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Icona di moralità

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TINA ANSELMI (1927 - 2016)

Icona di moralità

Il saluto. Manifesto a Castelfranco per l’addio a Tina Anselmi
Il saluto. Manifesto a Castelfranco per l’addio a Tina Anselmi

Tina Anselmi era una donna libera. La fede cattolica non le impediva di essere donna di Stato, l’appartenenza politica non le precludeva di agire con indipendenza e intransigenza. Rispondeva a se stessa e ai principi in nome dei quali tanti elettori del Veneto l’hanno mandata ininterrottamente in Parlamento dal ’68 al ’92: la serietà, l’onestà, l’incorruttibilità e le capacità che nel corso degli anni aveva dimostrato in ruoli decisivi (che tuttavia per nessuna ragione al mondo la privavano del fine settimana nella sua terra, con le sorelle e i nipoti: un radicamento che la gente ha sentito e apprezzato).

Tina Anselmi era una che faceva delle scelte nette. La prima volta a 16 anni, dopo lo shock di una mattina in cui viene portata fuori dalla classe con i compagni ad assistere a una rappresaglia nazista: tanti giovani partigiani appesi a degli alberi. Era il 26 settembre 1944, non si poteva non scegliere da che parte stare, anche a quell’età. E allora ogni giorno all’alba, in sella alla bicicletta, comincia la vita della staffetta, nome in codice Gabriella, che dà il suo contributo alla Resistenza. Più tardi Tina sceglie di lottare con le filandiere che lavorano in condizioni proibitive, va lei a contrattare per loro tutele e salari migliori; sceglie giovanissima di entrare nella Dc per promuovere le politiche sociali in cui crede e aiutare la società a rialzarsi dopo la guerra. Soprattutto, sceglie di occuparsi di lavoro, perché è il lavoro la chiave per risollevarsi e uscire dalla depressione.

Tina Anselmi era dalla parte delle donne, non poteva essere diversamente. Diventa il primo ministro della Repubblica donna e dopo il giuramento, il 30 luglio del ’76, intervistata dalla Rai dichiara senza mezzi termini: «Sono contenta di assumere la guida di un ministero che, nei cliché che si stanno abbattendo, è considerato il meno tradizionalmente femminile». Il primo atto dopo questa storica nomina è il varo della legge 903 che stabilisce la parità di trattamento uomo-donna in materia di lavoro. Ciò che ancora oggi, nel 2016, è un sogno nel settore privato, nel pubblico lo dobbiamo, sin dal ’77, a Tina Anselmi. Che è accanto alla socialista Lina Merlin nella battaglia per l’abolizione delle case di tolleranza, presiede la Commissione pari opportunità e non cessa di ribadire: le donne partecipino alla vita politica, solo così possono cambiare le cose.

Un giorno del marzo 1981, quando già aveva attuato riforme epocali come il Servizio sanitario nazionale e firmato le leggi sull’aborto e Basaglia, la chiama Nilde Iotti. «Avversarie sì, mai nemiche», osservava, e questa era la sua idea della politica: quando era in gioco il bene comune si agiva assieme puntando al raggiungimento dell’obiettivo. La presidente della Camera vuole affidarle la guida della Commissione d’inchiesta sulla P2. Tina Anselmi le chiede 15 minuti di riflessione e poi, anche qui, sceglie. Il suo non è solo un sì, è la posizione di chi non dà tregua a niente e nessuno, non si arrende alle pressioni di alcuna provenienza, non si scoraggia neanche dinanzi al fuoco amico. Dopo essersi riunita 147 volte, aver ascoltato 198 persone, aver disposto 14 operazioni di polizia giudiziaria ed esaminato centinaia di migliaia di carte, la Commissione certifica la natura eversiva della Loggia. Ma la democristiana paga il prezzo del suo rigore - la risoluzione, votata pure a stragrande maggioranza dal Parlamento, non avrà esito - e rimane sola. Nel ’92 la Dc che sta per andare in frantumi chiude con uno sgarbo e le toglie lo storico collegio di Treviso per offrirlo al presidente della Regione Veneto Carlo Bernini, piazzandola nello scomodo seggio di Conegliano-Oderzo. Per la prima volta non viene eletta.

Eppure rimane una stima diffusa nella società civile per l’icona di moralità pubblica che è Tina Anselmi. Emerge la candidatura dal basso al Quirinale, attraverso il web e, prima ancora, dalle colonne del dissacrante giornale satirico «Cuore». Ma, in quel caso, non scherzavano. Anzi. C’erano la serietà e il calore dell’applauso che l’amata Castelfranco le ha riservato l’altro ieri nel Duomo per l’ultimo, emozionante, saluto.

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