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L’essenza del romanzo

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MARIO VARGAS LLOSA

L’essenza del romanzo

Peruviano. Mario Vargas Llosa
Peruviano. Mario Vargas Llosa

Senza i romanzi di Mario Vargas Llosa la storia della letteratura sarebbe profondamente diversa. Non solo non avremmo una serie di romanzi bellissimi (a cominciare dal capolavoro giovanile, La città e i cani), ma quello che è venuto prima di lui non avrebbe altrettanta importanza; sarebbe catalogo, non tradizione. La scrittura di Vargas Llosa, infatti, rappresenta un momento fondamentale nello sviluppo plurisecolare della forma romanzo. Questo, appunto, fa la differenza tra un buono scrittore e un grande scrittore: il buono scrive da solo, il grande scrive con i migliori del passato. Non farò nomi, che sarebbero troppi, europei e no, antichi e no, noti e meno noti. Dico solo che Vargas Llosa con le sue narrazioni ha attivato le sostanze più distintive ed elementari di un genere fin troppo vario, soggetto per definizione a continue ridefinizioni, facendoci percepire la consanguineità di dimensioni lontane come l’epico e il comico, ridinamizzando il rapporto tra storia e immaginazione, sfidando una volta di più l’illusoria corrispondenza tra realtà e realismo, tra autobiografia e finzione.

La stessa opera di Vargas Llosa è il trionfo della varietà. È una fisica che conosce la particella e la costellazione, e tratta l’una e l’altra con il medesimo rispetto, con la medesima precisione. Qui abbiamo un autore che studia e ricerca. Davvero propone di tutto, e in tutte le misure. Ama la lunghezza, ma sta comodo anche nella brevità, conosce la pazienza e altrettanto bene l’urgenza. E davvero si ha l’impressione, quando siamo con lui, che non esista limite alla capacità umana di rappresentare né alla dignità di qualunque soggetto. L’opera di Vargas Llosa include storie e storielle, saghe e cronache, individui e popoli, interni casalinghi e paesaggi grandiosi, la politica e l’amore, la religione e l’arte, la nativa Lima e tutto il Sud America, ma anche l’Europa, l’Africa, e terre remote, sperdute, in parte immaginarie; oggetti minimi, aspetti fisici, dialoghi su qualunque tema, la bellezza e la bruttezza, e i sensi, la corporeità più disgustosa, amplessi, violenze; figure storiche e personaggi inventati.

In tanta ricchezza una costante salta agli occhi: l’ambizione narrativa; la volontà gioiosa di trovare sempre il modo più interessante per narrare. Il punto di partenza non è una sorgente; ma una cascata. Quando comincia, è già molto avanti: non ha una cosa da dire, ne ha moltissime. A differenza di tanti, questo autore non si frena preventivamente. Lui espande, aggrega, collega, sparpaglia, sostenuto da una memoria superiore. E solo così trova la strada; solo moltiplicando riesce a imporre un ordine alla sovrabbondanza. È tipico che questo, l’ordine, si esprima in una pluralità di punti di vista, o in un montaggio caleidoscopico, perfino nella confusione di piani temporali, in una specie di cubismo, che ti consente di vedere tutto in una volta, o il più che si possa; perfino nel dialogo, che arriva ad alternare in un’unica sequenza battute di personaggi collocati in tempi e spazi diversi. Dunque, a volte diresti che quel che stai leggendo ha dello sperimentale. Ma si tratta sempre di una necessità, di un risultato perfetto, non di un tentativo, o di un’audacia.

Il nuovo Crocevia (titolo originale Cinco Esquinas, che è un quartiere di Lima), tradotto da Federica Niola, non delude. Lo consiglierei come ideale introduzione a Vargas Llosa, con l’Elogio della matrigna o La zia Julia e lo scribacchino, a chi non avesse avuto ancora la fortuna di incontrare questo autore. Romanzo di ideale brevità, meno di duecentocinquanta pagine, racconta uno scandalo sessuale. La vicenda si svolge sul finire della dittatura di Fujimori, ha per protagonista un magnate dell’industria, coinvolge l’attraente moglie, una coppia di amici, il mondo giornalismo. Da contesto fanno le macchinazioni perverse dei malvagi e dei corrotti, il terrorismo e la colorita società di Lima, che include miliardari, criminali, guitti, falliti, grassone sfigurate dalla chirurgia estetica, sporcaccioni e ragazze arrabbiate. Anche in Crocevia si intrecciano più fili narrativi, si susseguono più voci, e l’esercizio del dialogo dà, in un capitolo finale, una prova di ammirevole virtuosismo. Tutto, però, in grande fluidità, senza intoppi, con un ritmo rossiniano, ironico e giocoso fin dalle prime righe, in un naturale crescendo di slancio poliziesco.

In Crocevia il sesso la fa da padrone. Il sesso, per Vargas Llosa, è componente essenziale del mondo. Si potrebbe affermare che per lui è una metafora del mondo intero, motore e punto d’arrivo. Scandali a parte, qui vediamo due belle signore dell’alta società, Marisa e Chabela, trasformarsi da semplici amiche in appassionate compagne di letto e, dai e dai, riuscire a portare il piacere oltre i confini della loro intesa segreta.

Il sesso è rivoluzione inconsapevole; un’anti-politica. Qui, non a caso, la fanno due donnette frivole, viziate dal lusso, angosciate dalla minaccia dei rapimenti, propense a evadere attraverso lo shopping o passando un weekend a Miami. Sembrerebbe alla fine un gioco di persone annoiate, la perversioncella di due borghesi, o magari l’approdo di un’originaria “diversità”, che comunque non si esprimerà mai in problema di coscienza o in crisi d’identità. Nella perfetta conservazione di tutti i rapporti di potere – quelli tra moglie e marito, tra ricchi e poveri, tra sé e sé – il sesso opera in un vuoto, espressione indomabile della fisicità; dignità ultima dell’individuo capitalistico. Il sesso è commedia, mette in circolazione la sensualità, esalta la bellezza; migliora. E non è sottoponibile a giudizio morale. Marisa e Chabela sono due burattini del consumismo, non hanno profondità, o ricordi: sono stereotipi. Eppure, complimenti all’autore, hanno la capacità di rappresentare la vita dell’istinto buono. Chiuse nella prigione dorata della loro esistenza materiale, si fanno – e non se ne rendono conto – campionesse di emancipazione. Il narratore vuole forse che critichiamo la contraddizione? Forse. Ma ogni contraddizione, in fondo, porta con sé una frattura liberatoria, un attentato alla repressione.

C’è un altro aspetto notevole nei racconti sessuali di Vargas Llosa: lo sguardo fermo del narratore in una scena rischiarata a giorno. Gli organi genitali e le azioni che li coinvolgono sono interamente sotto gli occhi del lettore. Nessun’ombra allusiva o censoria, nessuna luce artificiale. Nessuna perifrasi, o metafora smorzante. E così la pornografia è evitata. Il corpo rientra nella normalità della percezione, come se la sua rappresentazione letteraria non fosse “finta”, ma fosse invece vera e presente, cosa tra le cose. Ci vuole molta bravura per arrivare a simili risultati, per scandalizzare senza scandalizzare.

O Marisa e Chabela sono solo due egoiste? La gente viene rapita e ammazzata; i mariti sgobbano, rischiando di perdere la faccia o la stessa vita. E loro che fanno? Se la spassano.

Ma noi, i lettori, che facciamo da parte nostra, mentre intorno a noi tutto va a rotoli? Ce la spassiamo anche noi. Appunto, leggiamo. Ecco come un narratore di genio riesce a catturarci nel suo sistema di ambiguità, dove i più disposti a dimenticare, gli sporcaccioni, potremmo essere proprio noi.

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