Cultura

Cosa verrà dopo?

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Cosa verrà dopo?

  • –Gianfraco Ravasi

Anni fa, dopo aver dedicato un libro al tema dell’anima nella storia del pensiero filosofico, teologico e letterario, fui tentato di condurre una ricerca su quel “dopo” che è chiamato immortalità o risurrezione o novissimi o altro ancora. Avevo cominciato a costruire una piccola biblioteca di saggi sull’argomento: è stato proprio durante questo allestimento bibliografico che mi sono convinto a desistere da un’impresa che assomigliava alla scalata di un monte dalla vetta invisibile e forse irraggiungibile. Non ho, però, mai abbandonato le letture dei testi di quegli autori che, spesso parzialmente, hanno tentato quell’ascesa.

Ho, così, incrociato ora il saggio del cardinale Camillo Ruini che – abbandonati per ragioni cronologiche gli importanti incarichi ecclesiali da lui rivestiti – ha realizzato quello che anch’io auspico di poter fare nel mio futuro non lontano, cioè ritornare alla lettura e agli studi. Che abbia letto molto di quell’imponente bibliografia è attestato non solo dalla letteratura teologica, che è in palinsesto a molte sue pagine (e questo è anche scontato, tenendo conto della sua matrice originaria di docente di questa disciplina), ma soprattutto e a sorpresa è documentato dal capitolo dedicato all’“alternativa naturalistica”. Si tratta di una breve ma densa sezione ove si affacciano non solo Darwin con la teoria evoluzionistica ma anche i cultori delle nuove scienze cognitive, a partire da Turing per passare a Putnam e Searle e giungere anche a Quine e a Nagel, sconfinando persino nelle periferie più generiche (che però sono maggiormente affollate dei centri scientifico-filosofici) ove dominano, ad esempio, le voci di Tiziano Terzani e di Steve Jobs.

Un’attenzione, quindi, piuttosto inattesa a un orizzonte paradossalmente netto eppure fluido che, però, registra un’audience altissima, soprattutto per le potenzialità “trans- o post-umane” su cui si affaccia. Come scriveva il neurologo Alberto Granato, citato in queste pagine, «se il XX secolo è stato per le neuroscienze il secolo del neurone, il XXI secolo sarà probabilmente ricordato come quello della plasticità neuronale». Con tutte le conseguenze del caso, se appena si fanno balenare temi come libertà, responsabilità etica, coscienza e così via, senza appunto escludere anche l’interrogazione sull’anima e sulla sua realtà finita o immortale. Abbiamo scelto questo capitolo del libro di Ruini come avvio non solo perché è quello che maggiormente accetta la sfida della modernità socio-culturale, scendendo nella piazza ove spesso le domande metafisiche sono lasciate cadere nella polvere e calpestate, ma anche perché con questa sezione ci troviamo collocati come su un crinale.

Da un versante, infatti, si allarga la distesa della storia passata e presente con le sue infinite ramificazioni: si pensi solo alla foresta delle escatologie delle grandi religioni, all’arcobaleno delle varie prospettive del pensiero umano, a partire dalla classicità greco-romana, fino alla motilità delle esperienze contemporanee sospese tra l’eccesso e l’afasia su questo tema, alla stessa teologia che in questo campo ha acceso «un focolaio di disordini», per usare un’espressione di uno dei maggiori teologi del Novecento, Hans Urs von Balthasar. Ruini gode, al riguardo, di una duplice dote, rara in altri autori religiosi: da un lato, la capacità della sintesi centrata, pronta a mozzare la seduzione delle ramificazioni e, d’altro lato, a differenza di non pochi suoi colleghi, la chiarezza e precisione del dettato, evitando certe autoreferenzialità oracolari che si ammantano di oscurità compiaciuta.

Ma da quel crinale sopra evocato si dirama un altro e ben più vasto versante, un territorio che il teologo cattolico Ruini ha già perlustrato in passato e che ora torna a rivisitare per stenderne una nuova tappa. Fuor di metafora, siamo davanti all’escatologia cristiana che all’uomo contemporaneo sbatte in faccia – la locuzione non è forte perché potrebbe essere una variante della formula «scandalo-stoltezza» usata dall’apostolo Paolo – ancora una volta la risurrezione di Cristo. A questo punto erompe la cascata delle interrogazioni che si trasformano in tesi per il credente e che possiamo soltanto far balenare e non certo descrivere. Il cardinale, infatti, assume subito la delicata questione del linguaggio che è la spia di una più incandescente sotto-traccia, ossia l’operazione ermeneutica degli asserti sull’oltrevita. Asserti che, come dicevamo, si allungano inanellandosi tra loro, a partire proprio dalla soglia di partenza, la morte, che – per usare un’intuizione di Rilke – è «l’altra faccia della vita rispetto a quella rivolta verso di noi».

Oltre quella frontiera c’è un incontro o un abisso, un giudizio o un silenzio finale? Il Caproni del Franco cacciatore non esitava: «Se ne dicono tante. / Si dice, anche, / che la morte è un trapasso. / (Certo: dal sangue al sasso)». Se invece, come suggerisce il cristianesimo (e altre religioni), si procede oltre, ecco subito un altro quesito: risurrezione dai morti o immortalità? Si tratta di una delicata conseguenza di antropologie diverse, la greca immortalistica, l’ebraica risurrezionistica: alternative e incompatibili tra loro oppure in contrappunto non antitetico bensì “simbolico”? Come corollario discende la qualità della vita eterna che non può essere una materiale “in-finità” temporale, e neppure una trascendente permanenza senza termine, bensì nella versione biblica un ingresso gratuito, e quindi donato alla creatura, nell’orizzonte del divino (il «Dio tutto in tutti» paolino) ma non per un panteismo, bensì per un en-teismo salvifico.

Affiora a questo punto quella trilogia classica che l’arte ha trasformato in un fittissimo trittico polimorfo e policromo: inferno-purgatorio-paradiso. Esso, in realtà, nasconde profili ben più sostanziali rispetto alla pur affascinante velatura alla Bosch o alla Michelangelo o Dante. Il cardinale non esita a inseguirne tutte le deduzioni e le obiezioni, inoltrandosi anche nell’evoluzione che su questi temi è stata prodotta dalla diacronia storica. Cerca, così, di dipanare un filo coerente, non ignorando anche i nodi minori come la domanda sulla «sorte dei bambini morti senza il battesimo», tema inchiodato nelle menti di tutti con la parola “limbo”, un vocabolo che è una variante di “lembo”, perché lo si considerava un ambito marginale e distinto rispetto all’inferno.

Alla fine, lo sguardo retrospettivo al percorso compiuto acquista una tonalità che occhieggiava già nella “parola confidenziale” dell’introduzione e in altre pagine, ossia la testimonianza personale della propria certezza su quel “dopo”. Una certezza indubbiamente solida e intimamente cristiana, ma che si fa carico anche del peso delle incertezze altrui, riconoscendone l’autenticità. Le ultime parole dell’uomo e credente Ruini sono, perciò, non enfatiche e apodittiche: «Non sono arrivato ad avere del “dopo” una certezza puramente razionale. Ed è giusto che sia così, perché la salvezza eterna è un dono da chiedere con umiltà, non qualcosa da conquistare, nemmeno sul piano conoscitivo». Il suo saggio – che ha persino anticipato il titolo a cui pensavo per il mio testo mai realizzato sul tema “C’è un dopo?” (io mi ero orientato semplicemente a un “E dopo?”) – mi ha convinto ancora di più ad abbandonare questa impresa ardua, consapevole che i lettori hanno ora già a disposizione una traccia nitida da seguire.

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Camillo Ruini, C’è un dopo? La morte
e la speranza , Mondadori, Milano, pagg. 200, € 19