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Fasti del Secondo Impero

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Arte

Fasti del Secondo Impero

Grandeur. La mostra sul Secondo Impero Francese allestita  al Musée d’Orsay di Parigi
Grandeur. La mostra sul Secondo Impero Francese allestita al Musée d’Orsay di Parigi

Ad ormai quasi quarant’anni di distanza dalla grande mostra che nel 1979 aveva rievocato nei monumentali spazi del Grand Palais i discussi fasti del Secondo Impero, circoscrivendoli sotto un titolo neutrale L’art en France sous le Second Empire, tocca ora al Museo d’Orsay farli nuovamente rivivere anche per celebrare i trent’anni dalla sua apertura. Questa associazione appare quanto mai appropriata, se pensiamo come le collezioni del grande museo siano formate in gran parte proprio dalle testimonianze di quel periodo destinato nel bene e nel male ad entrare nella leggenda. L’intitolazione ora utilizzata Spectaculaire Second Empire intende porre l’accento sull’ eccezionalità di quel ventennio, quando la Francia, appena uscita da una nuova Rivoluzione e dalla proclamazione della Seconda Repubblica, vedeva tra il 1850 e il 1870 non solo il rilancio di quella corsa alla ricchezza e al lusso che aveva caratterizzato l’ascendente borghesia negli anni della monarchia rampante di Luigi Filippo, ma anche la rinascita, nel segno di quella indistruttibile vocazione alla grandeur, del primato goduto agli inizi del secolo con l’Impero che aveva conquistato l’Europa. Sotto il nuovo Napoleone Parigi, che è la grandiosa scena di questa rassegna, tornava ad essere la capitale del mondo moderno, una sorta di «nouvelle Babylone» come la definì Flaubert scrivendo nel 1867 a George Sand. Il suo volto, completamente rinnovato dalla formidabile azione demolitrice e costruttiva dell’architetto Haussmann ispirata dall’ imperatore, subiva quella radicale trasformazione che ne faceva una metropoli monumentale. La nuova scenografia urbana, veramante spettacolare, richiama il paragone con la Roma barocca creata dai pontefici. Il monumento simbolo dell’epoca e di questa vocazione al fasto, alla meraviglia e all’apparenza è stata l’Opéra di Charles Garnier dove, come in una corte accessibile a tutti almeno a chi aveva denaro, si sono celebrati i fasti di questo, appunto, spettacolare Secondo Impero.

Superando la rassegna del 1979 che era pur riuscita a mettere insieme trecentosettanta opere, questa nuova impressionante parata, con più di quattrocento numeri in catalogo, riesce a rievocare non solo uno di momenti più esaltanti della storia dell’arte, quando si confrontavano geni come Courbet, Ingres, Manet, Degas, Daumier, Monet, Puvis de Chavannes, Carpeaux, ma un clima in cui, all’insegna del materialismo carattere predominante di una società in radicale trasformazione, cambiava il modo di vivere e di apparire. Un meraviglioso allestimento è riuscito a far dialogare i dipinti e le sculture con la grafica e la fotografia, ma soprattutto con le arti decorative, dagli arredi all’orificeria, che rappresentano anche numericamente la vera rivelazione di questa mostra sontuosa e stupefacente. Le immagini delle architetture, degli interni, degli eventi di un’età che pare essersi manifestata come una festa infinita, sono restituite dai dipinti, dalle testimonianze grafiche e fotografiche che creano un contesto ai molti capolavori esposti. Non solo quadri notissimi, come l’Émile Zola o Le Déjeuner sur l’ herbe o Le Balcon di Manet, Pierre –Joseph Prudhon et ses enfants di Courbet, La Famille Bellelli o Le Défilé di Degas, La Plage de Trouville di Monet, ma le scene mondane e i ritratti di Stevens, Tissot, Cabanel, Carolus-Duran, Winterhalter, Gérôme che ci restituiscono l’atmosfera, gli eventi e i protagonisti di questi anni esaltanti. Ma quello che più ci colpisce è il lusso senza pudore dei gioielli, a partire da quelli per la corte imperiale, e degli oggetti d' arredo creati dalle grandi manifatture di Sevres, Baccarat, Christoffe, Beauvais per assecondare sempre di più il piacere e la gioia di vivere dei nuovi ricchi.

L’atmosfera che si respira in questa magica mostra è molto simile a quella che sedusse i milioni di visitatori, superavano i cinque ad ogni occasione, che visitarono le mastodontiche esposizioni universali che consacrarono Parigi come centro del mondo. Parigi capitale del XIX secolo di Walter Benjamin è una lettura che consentirà di entrare nello spirito della rassegna e comprendere lo sforzo interpretativo dei suoi curatori, Guy Cogeval, Yves Badetz, Paul Perrin e Marie-Paule Vial, nell’accostarsi a materiali tanto vari. La fantasmagorica varietà che stupiva infatti in queste affollatissime vetrine a partire dall’Expo cel 1855, l’anno in cui la linea ferroviaria collegò Parigi al Mediterraneo. In quella rassegna il posto d’onore toccò al dipinto di Franz Xavier Winterhalter che rappresentava l’imperatrice Eugenia circondata dalle sue damigelle d’onore. Questo dipinto monumentale, conservato nel castello di Compiègne, fatto ricostruire da Napoleone I e diventato residenza prediletta del nipote, proprio per le sue dimensioni proibitive non è in mostra, ma sono presenti altri dipinti di Winterhalter che ritraggono la donna che fu, forse più del marito, e ne conservò a lungo la memoria essendo campata ben novantaquattro anni, l’emblema di quell’ epoca folle e spensierata. Questo pittore, nato e formatosi in Germania, era divenuto, come un Rubens o un Van Dyck dei tempi moderni, un pittore di corte internazionale richiesto da tutti i monarchi europei, dalla regina Vittoria a Luigi Filippo e infine Napoleone III e soprattuto Eugenia de Montijo, la contessa spagnola diventata imperatrice dei Francesi, con la quale ebbe un rapporto davvero speciale. Assecondò infatti le sue fantasie storiche di far rivivere i fasti dell’Ancien Régime e gli incanti del Settecento diventato oggetto di nostalgia e di imitazione dalla pittura e scultura alle arti decorative.

Non è facile comprendere, ma la mostra lo spiega molto bene, come questo tipo di gusto, caratterizzato da una grande eleganza e dallo sfoggio di un indiscutibile virtuosismo ma che rischiava di cadere in una bellezza senz’anima tanto da suonare falsa o addirittura pacchiana, sia potuto convivere, in una società in cui i valori morali sembavano scomparire, con il ruvido realismo di Courbet, che proprio nel 1855 presentò in un’esposizione privata un capolavoro immenso e provocatorio come l’Atelier, o lo scandaloso sperimentalismo di Manet che con Le Déjuner sur l’herbe e l’Olympia apriva nuovi confini alla pittura, anticipando la Rivoluzione impressionista. Ma la corte e quella società immolate alla richezza e al lusso non potevano sentirsi rappresentate dalle accaldate ragazze ai bordi della Senna di Courbet e dai nudi troppo veri di Manet, bensì dalle vaporose Veneri, profumate di cipria, che Amaury Duval e Alexandre Cabanel facevano sorgere da leggiadre acque spumeggianti a coronare il sogno di una bellezza opulenta e dorata destinata a cadere tra il 1870 e il 1871 sotto i colpi dei cannoni prussiani e i fuochi della Comune, ma pronta a risogere nella nuova grandeur della Terza Repubblica.

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