Lo dipingeva con lo stesso ardore con cui lo baciava. Era il 1925. Lei è un’artista affermata, con mostre in mezzo mondo dalla Russia alla Francia, dalla Germania all’Italia; lui un affascinante musicista d’avanguardia di sangue blu. A quell’epoca Tamara (1898-1980) – già instabile e istrionica – è la moglie dell’avvocato polacco Tadeusz de Lempicka (divorzieranno tre anni dopo) e la madre di Kizette, nata nel 1916. Il marchese Guido Sommi Picenardi (1893-1949) è un dandy bizzarro e la introduce nel circolo dei Futuristi. La loro storia è passionale, documentata da svariati ritratti del bel gentiluomo. Il marchese è sposato con la principessa Anna Maria (Mananà) Pignatelli, che pare non curarsi della sua relazione con la seduttiva e provocante Tamara. Forse è troppo intenta a creare una personalissima mitologia vampiresca: era famosa per cavalcare nuda nei dintorni di Olgiate (dove ancora oggi sorge Villa Sommi Picenardi immersa nel verde della Brianza) col volto coperto di un trucco bianco, cadaverico, perfettamente intonato alla bara (vera) in cui amava dormire. È l’epoca decadente dell’assenzio e degli eccessi, della teosofia e dello spiritismo, a cui Mananà si dedica assiduamente organizzando sedute spiritiche - proprio nelle stanze della villa - insieme all’amica marchesa Casati Stampa.
Tamara non è da meno. L’anno prima, a Parigi, aveva incontrato Filippo T. Marinetti in una brasserie e insieme avevano deciso di andare a incendiare il Louvre, intenzione miseramente naufragata al commissariato – come racconta Gioia Mori nell’avvincente biografia dell’artista - dove vanno a recuperare l’automobile della Lempicka rimossa perché parcheggiata in sosta vietata. «La vita familiare è burrascosa: Tadeusz non tollera le relazioni extraconiugali della moglie, l’uso di cocaina, le notti passate tra locali e bordelli, i rientri al mattino, le ore di sonno indotte dalla valeriana e poi le lunghe sedute di lavoro, ascoltando a tutto volume Wagner». Il marito e Kizette non sono fra le occupazioni della pittrice, intenta a sfornare quadri e ad allestire mostre.
A Milano giunge nel 1925, invitata dal conte Emanuele Castelbarco che vuole organizzarle una personale. La inaugura il 28 novembre, nella galleria Bottega di Poesia: trenta dipinti e diciotto disegni.
Tra la più misteriosa e scandalosa pittrice dell’Art Déco, con un debole per le famiglie blasonate e il tenebroso seduttore la storia si avviluppa. Da quel loro primo incontro, nel 1925, nascono due ritratti firmati Tamara. Uno dei due - già esposto dieci anni fa a Palazzo Reale di Milano nella mostra dedicata alla de Lempicka - andrà all’asta da Sotheby’s New York con una stima di 4-6 milioni di dollari il prossimo 14 novembre, nella vendita serale di Impressionisti e Arte Moderna. È un quadro di notevole eleganza e di splendida fattura; ritrae il marchese in modo scenografico, con indosso un cappotto ornato di grande collo di pelliccia di volpe e un importante anello di smeraldo all’anulare. La tela rimase fino al 1969 nella collezione privata della pittrice, forse come souvenir della focosa relazione con il bel nobiluomo italiano. L’opera - insieme a altri importanti dipinti - proviene dalla collezione newyorkese di Kenneth Paul Block e Morton Ribyat, coppia di collezionisti americani che trascorsero insieme più di sessant’anni della propria vita. Block era un celeberrimo illustratore che lavorò per il New York Times, Chanel, Balenciaga e Saint Laurent; il suo compagno Ribyat fu un valido disegnatore di tessuti, attivo per importanti aziende del settore.
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