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Diario di una sottomissione

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Diario di una sottomissione

Affascinata dal buio. Joyce Carol Oates
Affascinata dal buio. Joyce Carol Oates

Che cosa hanno in comune la giovane moglie di un accademico di Berkeley, una studentessa di New York, un ragazzo associato ad una Fratellanza universitaria di Syracuse e una giovane donna imparentata con un ricco membro del Congresso americano? Lo stesso orrore, si potrebbe dire: o, meglio, la stessa allucinante frequentazione con la follia e con le deviazioni della “dorata” borghesia americana. Includendo una difficile, quanto disperata, ricerca d’amore, che è irrinunciabile anche quando votata ad un rapporto violento in cui le donne sono spesso vittime e i maschi predatori.

Questo è il filo rosso (rosso sangue, potremmo dire) che collega i quattro corposi racconti di Joyce Carol Oates, classe 1938, riuniti sotto il titolo inquietante de L’occhio del male (2013). Oates è tra le scrittrici contemporanee americane più prolifiche: ha al suo attivo, infatti, oltre quaranta romanzi e 700 racconti, al ritmo di due libri all’anno. La sua opera, che ha un vasto consenso di pubblico, si colloca indubbiamente nel filone della narrativa neo-gotica (con ascendenza indubbia: Edgar Allan Poe), caratterizzata da una serie complessa di ingredienti. Una specie di cocktail (spesso mortale) in cui, ad una base rigorosamente mystery, vengono aggiunte dosi di violenza metropolitana, di oppressione e sfruttamento nelle maglie della famiglia nucleare americana (dove spesso si annidano segreti aberranti) e di sottomissione femminile al desiderio maschile di possesso, un desiderio che, fatalmente, trasforma la donna in una vittima sacrificale.

L’occhio del male è tutto questo, emblematicamente. Lo vediamo subito nel primo racconto, «Il malocchio» (che richiama il titolo originale del libro, ritradotto nella edizione italiana), dove compare una strana riunione di famiglia in cui entrano in gioco una prima e una quarta moglie. Mariana (la prima moglie, che ci fa subito pensare alla Rebecca di Daphne du Maurier) è molto giovane e sta vivendo un vero idillio con l’attempato marito, Austin Mohr.

Ma nella loro lussuosa casa, affacciata sulla baia di San Francisco, fa irruzione Ines, la prima moglie, per una breve visita annuale. Tra le due non scorre buon sangue. E Ines, descrittaci da Oates con un tocco raccapricciante (ha perso un occhio e la sua orbita vuota la rende molto inquietante), dà subito l’impressione di voler accusare Austin di un delitto inconfessabile: l’aver causato involontariamente la morte del loro figlio neonato.

L’amore e la sincera dedizione di Mariana vengono progressivamente scalfiti da un’atmosfera di sospetto, da un’ansia sospesa, che fa riaffiorare un quadro di violenza psicologica messa in atto da quest’uomo nei confronti di ognuna delle sue mogli (una sorta di Barbablù americano). Violenza a cui Mariana non potrà più sottrarsi, prigioniera alla pari di tutte le altre. Perché ne «Il malocchio» (che allude anche alla sfera del soprannaturale), abbiamo un segno dell’ineluttabilità del male, simboleggiato da un amuleto — un glass nazar — che pende come un occhio (l’occhio mancante di Ines) da uno stipite delle casa e che la prima moglie porta anche al collo, a mo’ di collana. Un segno della violenza insita in Austin, che Mariana, con dolore e progressiva paura, comincia a scoprire a poco a poco.

Il motivo della “scoperta” dell’anomalia, della follia che alberga nell’animo umano in una latenza imprevedibile, ricompare nel secondo racconto, «Così vicino. In ogni momento. Sempre», in cui Lizbeth, adolescente alle prese con i turbamenti d’amore, entra in contatto per la prima volta col mondo maschile. Essere corteggiata da un compagno, Desmond, incontrato alla Biblioteca di New York, per lei che si è sempre reputata poco attraente, costituisce una fonte di trepide aspettative. Dunque assistiamo alle sue emozioni più recondite, alla nascita graduale di un sogno d’amore… fino a quando, come sempre in Oates, accade qualcosa di impalpabile, di “anomalo” per l’appunto, che apre uno scenario del tutto nuovo. Desmond, che già era stato presentato ai suoi genitori, scompare d’improvviso, e riappare come un fantasma nella sua vita, nella imprevedibile veste di stalker. Liz, da questo momento vive accerchiata da una presenza fantasmatica, inquietante. Fino a scoprire che quel giovane, quel suo sogno dorato, non è altro che un assassino, colpevole di aver ucciso la propria sorella adolescente apparentemente senza ragione.

La follia. Un punto fermo nei personaggi di Oates, che, come noi lettori, credono che il mondo sia normale, uguale a loro (e come non pensare, a questo punto, alle lucide ricostruzioni dell’alienazione in Follia di Patrick MacGrath, pubblicato da Adelphi nel 2012?). Ma, a dire il vero, faremmo meglio a parlare qui della fascinazione della follia, che irrompe senza preavviso nelle nostre vite. È quello che accade nel terzo racconto, «L’esecuzione», in cui un altro adolescente, il perditempo Bart, figlio di genitori borghesi in una rispettabile Syracuse, cittadina ai confini col Canada, allievo della prestigiosa università privata, più intento a frequentare le goderecce Associazioni di studenti che le lezioni, si trasforma in un efferato assassino. Bart, infatti, progetta di uccidere con un’ascia il padre e la madre, rei di non onorare i suoi debiti. E lo fa in assoluto disprezzo della pietà, infierendo senza ritegno sui loro corpi. Ma anche questa di Bart è un’anomala storia d’amore (amore negato, amore riscoperto), tant’è che proprio la madre, miracolosamente sopravvissuta ai colpi e uscita dal coma, lo scagionerà con un estremo, assurdo, atto di dedizione (vittima consenziente). Il che creerà nella sua mente un ulteriore corto circuito: la scoperta dell’amore filiale.

L’occhio del male è anche violazione. La follia della violazione. Come nell’ultimo racconto, «Il pianale», in cui si allude ad un sogno “riparatore” di un atto di pedofilia che ha come protagonista un nonno altolocato e una ignara nipotina. In questo caso un altro assassinio porrà fine all’incubo della prevaricazione e del plagio. Ma la vittima — ormai a distanza di tanti anni — sarà fino all’ultimo attratta dal suo stupratore.

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