Cultura

La moglie del sindaco

  • Abbonati
  • Accedi
cinzia sasso

La moglie del sindaco

«La giornalista ha lasciato il posto alla persona»: non poteva dir meglio Cinzia Sasso nel suo personalissimo racconto di Moglie, così come si intitola, esplicitamente e coraggiosamente, il mémoire appena edito da Utet.

L’autrice, nel 2011, ha lasciato la trentennale e fortunata carriera giornalistica per dedicarsi solo al marito: Giuliano Pisapia, conosciuto proprio in tribunale a Milano, dove lei seguiva la giudiziaria per il quotidiano “la Repubblica”. Di quella scelta, a molti – a lei in primis – sembrata irragionevole e démodé, Sasso rende ora conto nel libro, con molta onestà intellettuale, penna felicissima e disarmante candore: «Non so cosa è femminista e cos’è antiquato. Ma so che la scelta che ho fatto è quella che ho scelto io, liberamente».

Stanca dell’aut aut per cui «o diventi una donna o diventi una moglie», la donna ha deciso di diventare anche moglie, «a cinquant’anni suonati» e «dell’uomo che da più di venti era già il mio compagno»: i due si sono sposati «tra il primo e il secondo turno alle urne nell’aprile del 2011, un mese prima che Giuliano, in una città che da 18 anni è governata dal centrodestra, batta anche al secondo turno la sindaca uscente Letizia Moratti».

Questo tuttavia non è il libro di una «moglie di», ma solo di una «moglie», preoccupata innanzitutto, per (de)formazione professionale, di fare i conti con le parole: «Una cosa che mi ha sempre dato molto disagio è la povertà del linguaggio. A più di metà della vita è ridicolo chiamare l’uomo che ti sta accanto “il mio fidanzato”. E nemmeno “compagno” mi sembra una parola appropriata. “Marito” non ha bisogno di altro, vuol dire tutto». Perciò si prende un marito in sorte, perché lo si vuole «consorte», qualcuno insomma con cui condividere la buona e la cattiva sorte.

Sasso ha voluto «trasformare completamente la prima persona singolare in un soggetto plurale. Non più io. Ma noi. Il noi tra due uguali». Certo non è stato un traguardo facile conciliare matrimonio ed emancipazione, famiglia e lavoro, cura e femminilità, specie per chi, come la giornalista, ha avuto una vita picaresca e ostinatamente indipendente. Poi la vita le si è capovolta all’improvviso, facendola fuggire dai paparazzi con cui per anni ha lavorato o facendole trattenere le lacrime alle nozze, proprio lei che, «ai matrimoni, ho sempre pianto tantissimo. L’idea che il legame fosse per tutta la vita mi mandava nel panico».

Nel libro c’è tanta educazione sentimentale: l’autrice infatti ripercorre, condividendole, le esperienze emotive più significative, dalla prima cotta a 12 anni al sogno del giornalismo, dallo sconfinato amore per il figlio ai frizzanti anni londinesi come corrispondente. Sasso è una donna ottimista, si capisce che è innamorata, ma il suo è un ottimismo conquistato sul campo, faticosamente, “boots on the ground”: «I primi mesi senza “Repubblica” ho pianto quasi ogni mattina». Oggi, viceversa, si ritrova «la sera, qualunque sia l’ora, in casa, ad aspettarlo (il marito, ndr). Gli apro la porta, sorrido e preparo il suo cocktail preferito, il Negroni».

Il filo rosso del libro è l’orgoglio, arrivato dopo anni di pregiudizio, il “wife pride” della “first sciura”: divertenti, in proposito, sono i siparietti della vita ufficiale della «moglie del sindaco», dalle «missioni all’estero» alla «vita di palazzo», dagli incontri coi papi, o con Bill de Blasio, alla prima alla Scala. Nutrito è l’ensemble delle coprotagoniste femminili, come Clio Napolitano, Michelle Obama, Paula Zanetti... tutte grandi donne prima ancora che mogli di grandi uomini. Ma ci sono anche voci fuori dal coro, a riprova, ancora una volta, che gli aut aut esistono solo nelle teste di poca fantasia: «Natalia Aspesi mi ha sgridato moltissimo. Lasci il giornale? Sei matta».

© Riproduzione riservata