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Lirica delle identità multiple

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Lirica delle identità multiple

In una pionieristica antologia del 2013, Cento anni di poesia nella Svizzera tedesca (pubblicata da Crocetti), Annarosa Zweifel Azzone, già nota per le sue edizioni di classici come Thomas Mann, Josef Roth e Gottfried Keller, ci presentava una stimolante galleria di poeti svizzeri in lingua tedesca, la maggior parte dei quali ancora del tutto ignota al pubblico italiano. Quest’antologia ci metteva davanti non solo testi e figure di notevole interesse, ma anche riflessioni e ipotesi sul rapporto tra lingua e nazionalità, tra localistico e statale, tra confine politico e confine culturale. Troppo spesso dimentichiamo (e tanto più oggi dovremmo avere in mente) che proprio quelli della porta accanto, gli svizzeri, hanno creato uno dei più insigni esperimenti di equilibrio tra identità multiple. Per fortuna, come ogni volta che qualcosa di fondamentale va affrontato e capito, ci soccorre la letteratura.

La stessa Zweifel Azzone adesso propone un’antologia di Kuno Raeber, Poesie, nei tipi di ADV Publishing House, che ha sede a Lugano. Una raccolta indipendente di Kuno Raeber non era mai apparsa in italiano. L’antologia crocettiana di lui includeva cinque componimenti. Qualcuno forse ricorderà che in italiano era apparso nel 2012 un suo libro di viaggio sulla Calabria, per i tipi di Rubettino. Niente di più. Queste Poesie, cui la traduttrice premette un’illuminante introduzione, ci consentono di entrare in contatto con un lirico squisito, che il mondo tedesco ha ormai incluso nella cerchia dei maggiori (l’opera completa è raccolta in ben cinque volumi) e che da noi sarebbe peccato continuare a ignorare. Chissà che a questa prima proposta non faccia seguito la traduzione di uno dei suoi dissacranti romanzi.

Raeber è un esemplare supremo delle “identità multiple” da cui erompe tutta la poesia svizzera. Nato a Lucerna nel 1922, in gioventù fu appassionatamente cattolico. Entrò nell’ordine dei gesuiti ma presto ne uscì, senza fede. Nel 1958 si sposò. Dichiaratosi omosessuale, lasciò la moglie e un buon lavoro universitario. Passò il resto della vita prevalentemente a Monaco, tolti alcuni soggiorni a Roma e a New York, città adorate. Morì nel 1992 per Aids, a Basilea.

L’ho chiamato “lirico”. Tale, infatti, appare per concentrazione e per limpidezza. I temi sono quelli di tutta la grande poesia: la storia, la morte, la solitudine, il viaggio, la parola. Raeber raddensa, depura, cristallizza. Non si chiude, però. Asciutto come un ermetico, non corteggia l’introversione o l’ombra. Ha, semmai, nelle prove più brevi, qualcosa di cinese. Un esempio: «Parole sono resti. Poi / né alberi né case. Il ghiacciaio / abbagliante nel silenzio». (Parole) Si sente, certo, anche qui una crisi. Ogni parola però – e il tedesco originale è lì a dimostrarlo – mantiene una sua primordiale pienezza. Non si ha un residuo, ma un inizio; non un osso, ma un seme. A volte, i due – l’osso e il seme – sono indistinguibili, come nella stupenda Trovato perduto: intuizione di una profondità che appare e scompare a un tempo.

E poi c’è il pensiero della fine, che, però, neppure lei pare un’estinzione, anzi, affiora, pur senza metafisica, come ulteriore occasione di poesia. E penso a un componimento già apparso nell’antologia citata, Cicala, una delle composizioni in versi più commoventi che io abbia mai incontrato. Mi prendo la libertà di citarla per intero, anche a dimostrare la forza della traduttrice: «Un giorno di me / resterà solo la voce. / Mi cercherai / in ogni stanza, / su per le scale, nei lunghi / corridoi, nei giardini, / mi cercherai in cantina / mi cercherai sotto le scale. / Un giorno tu mi cercherai. / E ovunque sentirai solo la mia voce / l’alto canto monotono / della mia voce. Ti raggiungerà / ovunque, ti befferà / ovunque, in ogni stanza, / su per le scale, nei lunghi / corridoi, nei giardini, in cantina, / sotto le scale. Un giorno tu / mi cercherai. Un giorno / di me resterà solo la voce». L’anima cicala non smetterà di cantare.

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