Cultura

Ben tornata Rosmonda

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Ben tornata Rosmonda

Ma quanto è bella Rosmonda: ricca, imprevedibile, con una storia di intrighi amorosi attualissima e soprattutto rivestita da una partitura sublime nel canto, che cerca voli nei cieli più alti. Acrobatica e toccante, nutrita di quel grado di sentimento tipico di Donizetti, scende facile nel cuore e ci rimane. Non si eseguiva più praticamente dall’anno del debutto, la Rosmonda d’Inghilterra: da quel 1834 a Firenze, quando l’impresario Lanari (sì, quello del Macbeth di Verdi, tredici anni dopo) la volle al suo Teatro della Pergola. Ebbe successo discreto. Ma venne scalzata dalla sorella minore, che nacque giusto l’anno dopo, al San Carlo di Napoli, e che – indovinate - si chiamava Lucia. Il momento del riscatto tuttavia è arrivato: nonostante il titolo retrò, pomposo con quel profumo medioevale (vero, perché la storia è vera) la moderna Rosmonda trionfa a Bergamo, nel Festival Donizetti che l’ha recuperata, riallestita e rivista sull’autografo (a cura di Alberto Sonzogni) in collaborazione doverosa con Firenze, che ne ebbe la primogenitura. Là il titolo era stato eseguito in forma di concerto, il mese scorso. Ora invece a Bergamo, nei giorni clou del Festival che si svolge in concomitanza col “dies natalis” del compositore, l’opera viene portata in scena scegliendo un taglio visivo da pièce contemporanea.

Nel palcoscenico nudo, con due quinte nere mobili, nella scena di Nicolas Bovey, rese espressive dalle luci nette, due soli elementi di arredo (una poltrona e un tavolo) si fanno carico del racconto. È giusto, è corretto: il teatro di Donizetti scava tutto negli interni. Tuttavia manca qualche invenzione, qualche tensione in più, nella regia di Paola Rota, che si limita a far camminare lentamente i personaggi, con bel vantaggio per i costumi eleganti e di ampio panneggio di Massimo Cantini Parrini. Il fronte musicale del Festival, invece, ha fatto passi da gigante: sulla base solida di Orchestra e Coro, concertati con mano competente da Sebastiano Rolli, spicca un quintetto vocale magnetico, alato sul belcanto e incisivo sulla parola. Jessica Pratt è una luminosa Rosmonda, Eva Mei una superbamente cattiva Leonora, modello strega di Biancaneve, Dario Schmunck il classico tenore opportunista del melodramma. Nicola Ulivieri svetta nel ruolo ingrato del padre padrone ottocentesco, con grandi affondi di voce e di ira. Mentre Raffaella Lupinacci, nella parte en-travesti del giovane paggio Arturo, vanta il gioco di controcanto dell’Aria più famosa, “Perché non ho del vento”. Quella che la prima interprete, la famosa Fanny Tacchinardi, la prima Lucia, utilizzava come alternativa a “Verranno a te sull’aure”. Un gioiello che lancia dardi, trascinando Rosmonda a tornare in repertorio. I fari sono puntati su martedì, dopodomani, per il ritorno sul podio a Bergamo di un ragazzo che qui debuttò, cinquant’anni fa. Si chiamava Riccardo Muti.

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