Cultura

Mattotti, «sconfini» di colori

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passariano (udine)

Mattotti, «sconfini» di colori

Lorenzo Mattotti, «Nell’acqua» (2001), matita colorata e pastello su carta. In mostra  a Villa Manin di Passariano
Lorenzo Mattotti, «Nell’acqua» (2001), matita colorata e pastello su carta. In mostra a Villa Manin di Passariano

In un momento storico in cui i confini, da curve immateriali, diventano muri, le esedre di Villa Manin di Passariano (Ud), accolgono, nel loro largo abbraccio, la grande mostra di Lorenzo Mattotti battezzata Sconfini. Il nuovo corso di questa istituzione apre gli spazi del suo corpo centrale a un esploratore di territori disegnati sconosciuti, che ha superato le barriere tra illustrazione, fumetto, animazione, cinema e ha confuso le guardie della frontiera tra artigianato e arte, che non sanno più come identificarlo. Un migrante senza permesso di soggiorno, che preferisce il rischio della ricerca alle pantofole del mestiere acquisito e viaggia con un leggerissimo bagaglio di segni raccolti lungo il suo peregrinare. La mostra ha trovato il primo «Centro di accoglienza» a Landerneau, sede della Fondazione Leclerc, per poi approdare a Villa Manin. I due luoghi, un edificio di archeologia industriale in Bretagna con un grande spazio aperto, una villa nobiliare nella campagna friulana articolata in stanze successive, sembrano inconciliabili per la stessa esposizione, curata da David Rosenberg, adattata sul successivo spazio insieme a Giovanna Durì, ma il lavoro di Mattotti è un esperanto capace di dialogare con le dimore temporanee che attraversa. Organizzata su due piani, la mostra ha un approccio non cronologico; pesca, tra la vasta produzione di Mattotti, 400 tavole che ne percorrono l'evoluzione tecnica e poetica, mettendo a fuoco soprattutto le connessioni tra i suoi molti alfabeti segnici e coloristici. Si rivelano così prodromi di forme e cromatismi che riemergono rielaborate e sviluppate in altre opere. Il flusso è discontinuo. I passaggi stilistici tra una sala e la successiva sono shock visivi che rendono plasticamente la camaleontica capacità dell’autore di tradirsi senza timore di perdere identità, che invece si consolida. Visionario, gotico, espressionista, intimista, fisico, metafisico, lirico, lisergico, oscuro, coloratissimo, inquietante, giocoso: le definizioni sul lavoro di Lorenzo disorientano, ma nessuna lo comprende compiutamente. Nonostante il continuo riposizionamento del linguaggio Mattotti mantiene la rotta di ogni singolo progetto, ognuno dei quali appare compatto e coerente.

In questo senso è esemplare Caboto, una storia a fumetti sul cosmografo sceneggiata con Jorge Zentner, dove le morbide atmosfere esotiche di un sud America ai tempi delle conquiste spagnole, si mescolano all’aspro onere del comando del navigatore. L’autore mantiene un ferreo rigore formale dall'inizio alla fine, la qualità e la definizione dei particolari ne fanno un oggetto prezioso, anche prescindendo dalla lettura. Fuochi, il suo capolavoro, ha rivoluzionato gli standard del fumetto. Mattotti mette in parallelo la lenta perdita di razionalità del protagonista, un marinaio in ricognizione su una misteriosa isola, con il progressivo sfaldamento dei tradizionali contorni chiusi dei comics a opera del colore, che occupa infine l’intero spazio non solo figurativo ma anche narrativo della storia. La pittura irrompe nel fumetto, non sostituendosi banalmente al disegno, ma alterando il clima psicologico del racconto. In Oltremai disegna una serie di immagini nerissime con mostri e bambine, gabbie e imponenti strutture seminascoste in un bosco molto fitto, illuminato da squarci su mari impetuosi su cui si intravvedono vascelli in rada dal sapore conradiano. Non c’è testo, ma chi guarda crea spontaneamente una propria trama collegando liberamente le tavole. In questo caso Lorenzo ha lavorato su dimensioni diverse, grandi fogli pesanti su cui cambia anche la meccanica del movimento di chi dipinge. In Stigmate, la storia molto cruda di un emarginato in aria di santità, scritta con Claudio Piersanti, il segno secco del pennino graffia la carta, la ferisce, come le mani del protagonista. Il tratto, uno schizzo in bianco e nero aggrovigliato, eseguito in grande velocità, rimanda all’estremo stato di degradazione del personaggio.

Queste operazioni di transfert, molto usate nel cinema ma difficili nel fumetto, sono in grado di costruire senso senza dover spiegare. È uno dei motivi per cui Lorenzo rifugge la separazione rigida tra sceneggiatore e disegnatore, tipica del fumetto seriale, nel quale lo spazio non solo fisico di testo e disegno è pianificato a priori. Quando lavora da solo preferisce procedere su trame solo abbozzate, suggerite da un’immagine interiore; confida nella proprietà evocativa del disegno concentrando le sue capacità percettive sul tatto, sulla vibrazione dei suoi strumenti. La complessità che si respira immergendosi nelle sue immagini non gli impedisce di mantenere una dimensione popolare, leggibile, ad esempio, nei suoi manifesti o nelle illustrazioni sui giornali, che lo hanno educato a mantenere in equilibrio sintesi e attenzione ai particolari. L’allestimento di Villa Manin cuce i travasi tra le due esperienze, narrazione lunga e immagine unica, cogliendo i passaggi in cui le scoperte dell’una si riversano nell’altra vicendevolmente. Nelle opere di Mattotti si trovano tracce dell’influenza di artisti come Wayne Thiebaud, in certe ombre azzurro-neon e nella combinazione dei colori; Léon Spilliaert, nel rapporto tra figura e paesaggio e nel modo di fare le prospettive lunghe; Francis Bacon negli spazi ordinati e geometrici, ma mai ortogonali, intorno a figure drammatiche, come ad esempio in Cani di razza e altre bestie; Alfred Kubin nelle atmosfere di The Raven; George Grosz in Jekill & Hyde, per citare i più evidenti nel campo della pittura. Con la rockstar newyorkese Lou Reed ha collaborato alla realizzazione del volume The Raven, tratto dal testo di Edgar Allan Poe. Nel cinema ha collaborato con Michelangelo Antonioni, Steven Soderbergh e Wong Kar-way al film Eros; con Enzo D’Alò alla realizzazione del film d’animazione su Pinocchio e ha partecipato con un cortometraggio animato al film collettivo Peur(s) du noir- Paure del buio. Ma immaginiamo che il suo luogo d’elezione rimanga il taccuino di Linea fragile, dove da tempo continua a disegnare con una punta sottile immagini non premeditate che sono promesse per gli anni a venire.

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