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Nuova linfa ai referendum

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verso il referendum

Nuova linfa ai referendum

La riforma costituzionale promette una razionalizzazione del sistema orientata alla governabilità, bilanciata da contrappesi all’indirizzo politico di maggioranza. Tra questi, le forme di coinvolgimento del corpo elettorale a processi decisionali politici, innovate su due versanti: l’iniziativa legislativa popolare e i referendum.

Quanto ai progetti di legge presentati dagli elettori, il testo eleva il numero delle firme da 50mila a 150mila, ma impone al Parlamento di discuterli e di votarli, nei tempi e nei modi definiti dai regolamenti parlamentari.

La logica pare essere quella di rivitalizzare un istituto che ha sostanzialmente fallito il suo scopo. Nella storia repubblicana, infatti, le Camere assai di rado hanno esaminato proposte di iniziativa popolare. Irrisorio è poi il numero di quelle approvate. Così, la raccolta delle firme ha finito con l’avere quasi solo il significato politico di dare visibilità alle istanze dei promotori.

La garanzia che il testo non sia dimenticato nei cassetti di una commissione parlamentare, dunque, potrà riportare tale forma di partecipazione popolare dentro le istituzioni, come era nel disegno del Costituente.

Quanto alla “seconda scheda” referendaria, la riforma conferma quello abrogativo (art. 75), arricchendone la tipologia con referendum propositivi e di indirizzo (introdotti dal nuovo art. 71).

Con il primo, gli elettori conservano il potere di cancellare una legge. Di più. Attraverso la consolidata tecnica di quesiti manipolativi del testo oggetto di referendum, l’elettore esprimerà un voto capace di produrre una legge diversa da quella prima in vigore.

Qui, la riforma incide solo sulla fase deliberativa del procedimento, differenziando il quorum di validità del referendum in base al numero dei sottoscrittori: più questo è alto, più il quorum scende, favorendo così le chances di successo della consultazione. E così, quando sottoscritto da almeno 800mila firme, il referendum è valido se alle urne si recherà il 50% dei votanti alle ultime elezioni politiche (sulla base dei dati del 2013, basterebbe il 37,6% degli elettori). L’innovazione complicherà la vita al “partito dell’astensione” che, dal 1997 a oggi, ha vanificato 25 dei 29 referendum votati. Ne guadagnerà la dialettica referendaria, costringendo i fautori del no a un confronto sul merito del quesito, in luogo della facile scorciatoia del non voto. Impropria, tuttavia, è la relazione tra le due variabili saldate dalla riforma: se, infatti, l’altro quorum previsto, pari al 50% degli aventi diritto al voto, si presta a strumentalizzazioni agevolate da un astensionismo cronico, andrebbe abbassato per tutti i referendum. Diversamente, a beneficiare dell’inedito doppio binario referendario saranno le grandi organizzazioni di massa, forse le uniche in grado di raggiungere la vetta dolomitica delle 800mila firme. Per le richieste referendarie di minoranze, la strada resta tutta in salita. Salvo non si metta finalmente mano alle anacronistiche modalità di raccolta, certificazione e autenticazione delle firme referendarie, ancora disciplinate da una legge del 1970: la digitalizzazione di tali procedure, con la possibilità di sottoscrizioni per via telematica, è il vero modo per assicurare una par condicio tra tutti i comitati promotori. Del resto, la raccolta elettronica delle firme è già realtà per l’iniziativa legislativa dei cittadini europei introdotta con il Trattato di Lisbona.

Quanto ai referendum propositivi e d’indirizzo, non è dato conoscerne la fisionomia, rinviata a due leggi future, costituzionale e bicamerale. Così, però, il come e il quando attuare i nuovi istituti, dipenderà dalla maggioranza parlamentare. È un déjà-vu: come già in passato, non può escludersi il rischio di scelte ostruzionistiche.

Inclusi tra le «forme di consultazione» per la «determinazione delle politiche pubbliche» (art. 71), i nuovi referendum non decidono: indirizzano o propongono soluzioni normative, sulle quali l’ultima parola spetterà al Parlamento. Ecco perché, oltre che tempestive, le leggi attuative dovranno assicurare effettività ai due inediti istituti: pena la loro irrilevanza o, viceversa, la conflittualità tra volontà popolare e parlamentare.

La riforma, dunque, promette la possibilità per il corpo elettorale di farsi sentire: prima, durante, dopo il procedimento legislativo. Se confermate il 4 dicembre, le promesse andranno mantenute, nel nome di una lealtà costituzionale che si dovrà pretendere dalla futura maggioranza, qualunque ne sarà il colore politico.

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