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Strategie demoralizzanti

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Scienza e Filosofia

Strategie demoralizzanti

Dalle mani di Obama, Albert Bandura è stato premiato lo scorso 19  maggio con la National Medal of Science
Dalle mani di Obama, Albert Bandura è stato premiato lo scorso 19 maggio con la National Medal of Science

Perché le persone si comportano male, cioè uccidono, torturano, rubano, molestano bambini, corrompono, inquinano? Per Platone e la tradizione dell’etica razionalista, dipende da fatto che non sanno cosa è il bene o non conoscono la legge. Ma un’ipotesi alternativa è che pur conoscendo la differenza fra bene e male, le persone facciano del male in quanto per qualche motivo fuorviati da meccanismi psicologici di autogiustificazione: sanno di aver violato norme etiche nelle quali si riconoscono, ma in qualche modo si sono immunizzati contro gli effetti deterrenti di riprovazioni o sanzioni.

Il più citato psicologo vivente, e il terzo più citato in assoluto dopo Freud e Piaget, cioè Albert Bandura, difende la seconda ipotesi. Negli anni Ottanta ha creato il concetto di «disimpegno morale» per spiegare la logica psicologica dietro a queste contraddizioni, che consiste nel giustificare il comportamento immorale, eludendo le autovalutazioni e i sentimenti negativi (es. senso di colpa) che derivano dall’aver deviato da valori etici condivisi. Queste bugie servono, per esempio, a inventare una «giusta causa» che renda quel che si è fatto meno riprovevole. Questi processi cognitivi neutralizzano gli spiacevoli effetti dei sentimenti socio-emozionali, come simpatia, colpa o vergogna, che orientano verso scelte moralmente apprezzate.

Premiato il 19 maggio scorso da Obama con la prestigiosa National Medal of Science, alla veneranda età di novant’anni Bandura ha dedicato una monografia alla sua teoria, applicandola ai grandi temi sociali eticamente controversi (soprattutto in Nord America), come il possesso di armi, il terrorismo, l’uso della tortura, l’inquinamento ambientale, la corruzione, la pedo-pornografia. Il libro è molto chiaro e abbraccia un’impressionante vastità di ricerche empiriche.

Il disimpegno morale si manifesta attraverso una serie di meccanismi (otto) che intervengono nei quattro ambiti che definiscono una situazione moralmente rilevante: il comportamento, l’agire, gli effetti e la vittima. L’ambito comportamentale riguarda i processi messi in atto per trasformare un comportamento dannoso o immorale, in uno accettabile, attraverso la giustificazione morale («Dio vuole che io uccida queste infedeli», «queste persone si sono arricchite a danno di tutti e meritano che qualcuno gliela faccia pagare», etc.), l’etichettatura eufemistica, come quando i morti civili sono chiamati un «danno collaterale» o i bombardamenti sono definiti «chirurgici», e il paragone vantaggioso che fa apparire un azione «non così malvagia» se paragonata a un’altra peggiore, come accade paragonando l’uso della violenza a contesti dove a posteriori è stata giudicata legittima (es. una lotta politica violenta comparata alla Rivoluzione Americana).

A livello dell’agire morale, operano i meccanismi di spostamento o nascondimento della responsabilità, che consentono alle persone di giustificare il loro comportamento mostrando che si tratta dell’esecuzione di ordini superiori (es. uso della tortura negli interrogatori), e di diffusione della responsabilità per una condotta deteriore, ad esempio minimizzando il proprio ruolo nel maltrattare detenuti in un campo di prigionia e incolpando il gruppo per l’azione immorale. Per quanto riguarda gli effetti, il disimpegno morale si manifesta attraverso la distorsione o minimizzazione delle conseguenze, e qui Bandura se la prende pesantemente con la Chiesa Cattolica, che ha tollerato e nascosto così a lungo gli abusi sessuali ai danni di minori.

In merito alla vittima, i meccanismi descritti da Bandura sono la ben nota deumanizzazione, che consiste nel considerare le vittime oggetti, esseri inferiori o parassiti da eliminare (come i nazisti con gli ebrei o gli integralisti religiosi con gli infedeli) e nell’attribuire la colpa alla vittima o alle circostanze. In occasione dell’annuale convention dell’American Psychological Association, tenutasi a Denver agli inizi dell’agosto scorso e ancora in un’intervista di due settimane fa, Bandura ha detto che la deumanizzazione è stato il «meccanismo dominante» usato da Donald Trump nella sua campagna presidenziale.

Il disimpegno morale è stato descritto in diversi contesti trasgressivi rispetto a comportamenti prosociali, ed è predittivo di aggressività e violenza nella tarda adolescenza, o di bullismo. Sembra che favorisca anche il consumo di video violenti e i comportamenti trasgressivi (furto, menzogna, aggressione, distruttività, assenteismo e abuso di alcol e droga). Si è visto che le condizioni di sviluppo infantili e il contesto adolescenziale influenzano il grado di disimpegno morale.

L’approccio cognitivista di Bandura dà grande peso ai modelli e alle dinamiche funzionali autoregolative del comportamento, ed è abbastanza impermeabile alle idee e spiegazioni degli stessi fenomeni emerse nell’ambito degli approcci evoluzionistici. Nel libro si discute di autoinganno senza spendere una parola sulle ricerche che partono da Robert Trivers, e non sono mai citati i lavori di Jonathan Haidt. Là dove si discutono idee evoluzioniste, sembra che il tempo si sia fermato a Steven Jay Gould. L’attenzione per la neuroetica è quasi un riempitivo scolastico-compilativo.

Non è insensato pensare che il disimpegno morale fosse una strategia vantaggiosa per i nostri antenati vissuti per centinaia di migliaia di anni in contesti sociali molto più violenti e strumentali, per cui era funzionale razionalizzare in qualche modo comportamenti antisociali, che chi non è sociopatico vive come emotivamente disagevoli, e spesso attiva in funzione sia aggressiva sia di difesa. Questi meccanismi continuano a funzionare, benché molto sia cambiato, perché la nostra genetica è fondamentalmente la stessa. E, probabilmente, il disimpegno morale non funziona solo nel senso in cui lo applica Bandura, per il quale i valori buoni sono per definizione quelli liberal e le deviazioni da questi richiedono qualche giustificazione. In realtà, sono state le contingenze storiche a consentire lo sviluppo di società dove certi valori sono apprezzati, a scapito di altri, ed è socialmente vantaggioso praticarli. Peraltro, chi è favorevole alla pena di morte, al possesso di armi o a usare la tortura per evitare stragi terroristiche, non pensa di star facendo qualcosa di immorale.

Cinque studi pubblicati due anni fa dallo psicologo delle decisioni Scott J. Reynolds per capire il «ruolo della conoscenza nell’immoralità quotidiana»”, cioè «quanto conta sapere cosa è giusto», mostrano che la conoscenza morale influenza significativamente le scelte nelle situazioni quotidiane, più dei processi che caratterizzano il disimpegno morale. Sul piano teorico e tenendo conto delle misure effettuate, sembra che la tendenza al disimpegno morale «dipenda da scarse capacità di ragionamento morale e/o da razionalizzazioni post hoc e autoprotettive del comportamento».

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